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■ Geremiade
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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2004-05-12 | |
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SILVA Chi è l'uomo informatico? Non parlo di coloro che utilizzano più o meno giornalmente strumenti informatici per svolgere il proprio lavoro, Parlo di chi, con l'informatica, ha sviluppato un senso in più. Di chi usa il computer come un prolungamento del proprio corpo. L'informatica a scuola, cosa imparano i nostri ragazzi delle medie superiori? Il computer poeta analizza un foglio di carta. Faccio un sacco di fatica a fare talune cose che escono dalla quotidianità , poi ci riesco e anche piuttosto bene, ma ci sono persone che fanno tutto, o quasi, in modo perfetto e senza il minimo (apparente) sforzo. Non si tratta solo di questo, loro sono sempre un po' più avanti e ci sono regioni che loro praticano, dove capisco che, anche applicando il massimo sforzo, non arriverei mai a penetrare. Se tutto il mondo fosse popolato di simili esseri finirei per sentirmi un perfetto cretino, ma per fortuna non è così, si tratta di pochissimi individui su milioni e credo, spero non a torto, di essere generalmente considerato una persona ragionevole ed intelligente. Io ne conosco almeno tre di queste persone e due sono riuscito a convincerli a scrivere per questa testata. Vi assicuro che, per tutti gli impegni che hanno, non è stato facile. Ora collaborano abbastanza stabilmente ed il loro nome compare anche più di una volta nello stesso numero. Loro sanno fare tutte le cose per benino e infatti, per i loro articoli, hanno dimostrato subito un talento da divulgatori. La loro penna è scorrevole e spesso divertente, se non addirittura esilarante. Ricorderete l'articolo Proliss, di aprile dello scorso anno, in cui veniva sottoposto a prova, in controcorrente con i software di compressione, un programma di espansione delle frasi, appunto un programma (o). Si trattava di un pesce di aprile che è stato apprezzato dai nostri lettori più attenti. E' anche grazie a questi collaboratori che mi ha scritto una gentile lettrice di Cagliari, che gli articoli sulla nostra rivista si leggono piacevolmente perché hanno il pregio di essere scritti in buon italiano. Sapere non basta, bisogna essere capaci di comunicare le proprie conoscenze, in modo chiaro, esplicito e coinvolgente. Io non amo i tuttologi, quelli che ritengono di avere sempre la ragione dalla parte loro, che dicono e non dicono e hanno il sorriso sarcastico quando parlano gli altri. Loro conoscono tutto, ma ignorano l'unica cosa che è nota a tutte le persone ragionevoli: più si sa e più ci si rende conto di non sapere. Chi veramente sa, non è geloso delle proprie conoscenze, ma è portato a comunicare e partecipare agli altri il proprio sapere, porgendolo con semplicità , quasi scusandosi. Questa deve essere stata la molla che li ha convinti a essere dei nostri ogni mese, rinunciando a qualche altro incarico. SCUOLA E INFORMATICA sono anni che lamento il fatto che nelle scuole non si fa informatica, che l'informatica sarebbe materia da somministrare cominciando con i bambini delle classi elementari ed ora che qualche cosa si comincia a muovere, qualcuno dirà che sono incoerente se mi metto a criticare. Ma qualcuno troverebbe coerente se noi, contro la fame in Somalia, che decima la popolazione e uccide centinaia di bambini al giorno, si distribuisse caviale, salmone affumicato e via dicendo? Nelle scuole, cosiddette sperimentali, dove c'è un laboratorio di informatica, si insegna ai ragazzi a programmare. Sono in voga presso questi licei il Turbo Pascal, il C e il buon vecchio, ma molto rinnovato, Basic. Io non ho nulla contro questi linguaggi e, non ho difficoltà ad ammettere che siano i più attuali ed hanno tutta l'aria di essere in grado di resistere ancora per parecchi anni. E' vero che subiscono continue modifiche volte al loro miglioramento, ma in questo processo evolutivo ci sarà sempre continuità e, quindi, lo studio profuso non andrà perduto. Il problema non è qui. Se noi prendiamo mille persone che hanno a che fare giornalmente con il computer, una sola di queste fa il programmatore. tutte le altre lo usano per svolgere il loro lavoro. La percentuale diverrà , col passare del tempo, sempre inferiore, non perché diminuiranno i programmatori, al contrario, questi diventeranno sempre più una folta schiera, ma aumenteranno molto di più i semplici utilizzatori che con la programmazione non avranno mai nulla a che fare. allora mi sembra assurdo che la scuola non tenga conto di questo. La programmazione dovrebbe rappresentare la forma più avanzata di insegnamento e venire dopo corsi di informatica di base, dovrebbe essere il frutto di una selezione effettuata in laboratorio tra centinaia di giovani, identificando quelli che mostrano precocemente capacità di strutturare problemi, capaci di ragionare in "C" mentre discutono di un aspetto organizzativo, produttivo, ecc. Ma comunque, anche loro devono saper accendere un PC, devono saperci parlare, fare la copia di un dischetto, un back-up e un restore, scrivere file di autoexec.bat e config.sys in grado di creare un ambiente consono al loro lavoro. Invece no, arrivano in classe e trovano i PC accesi e quando escono i PC sono ancora accesi. Anche un futuro programmatore, oltre che gestire il computer e quindi saper usare il sistema operativo, deve sapere cosa sia un foglio elettronico, un database, un programma OCR, un elaboratore di testi, un impaginatore, e si potrebbe andare ancora avanti un pezzo a scrivere l'elenco delle cose da sapere. La scuola si dovrebbe preoccupare di dare ai ragazzi una preparazione di base generica tale da sviluppare la conoscenza infondere confidenza, familiarità , creare le condizioni psicologiche che portino alla facilità d'uso, così da orientare la loro scelta, dare loro gli strumenti per decidere se fare il programmatore di computer o, semplicemente, decidere che il loro destino è quello di usare il PC per aumentare le possibilità di impiego nel mondo del lavoro. Vorrei chiudere questo breve intervento annotando che leggere e scrivere, se imparati a scuola da piccoli è facile, poi da adulti, diviene una vera impresa, per il computer è la stessa cosa, e finisco, ribadendo il concetto che si potrebbe delineare una generazione di aninformatici fatalmente emarginati, scarsamente impiegabili e, comunque utilizzabili solo in settori poveri e poco evoluti. Una frangia umana che ripercorrerebbe lo stesso travagliato cammino degli analfabeti di pochi decenni fa. UN FOGLIO SCRITTO E L'INTERPRETE OCR Poniamo un foglio sullo scanner, questo foglio viene prima scandito poi, in una successiva fase viene letto dal PC il quel trasforma il disegno bitmapped di un carattere alfabetico nel suo equivalente codice ASCII, come se lo aveste battuto sulla tastiera voi stessi. Noi tutti crediamo che sia per lui (il PC) del tutto indifferente se si stia trattando di una ennesima circolare del Ministero dei Trasporti o di una sublima pagina dell'Iliade, nella traduzione del nocchiero Pindemonte, che stiamo riconoscendo in modo che possa essere inserita nella tesina di nostra figlia, ricordate: quella pagina in cui Andromaca, dal bianco seno alma consorte, lasciato il figlio all'ancella, corre, trepidante d'ansia, sulla più alta torre di Ilio per vedere Ettore pugnare intorno alle mura poste all'inimico assalto, spinta dal triste presagio che presto verrà il tempo in cui Troia e tutta la sua gente cadranno? Da qualche tempo so che per il mio PC non è così, per lui ogni foglio di carta su cui mano umana abbia vergato parole assume un significato straordinario. Tempo fa cercavo di capire cosa passa nei suoi circuiti elettrici quando gli sottopongo una delle mia pagine da leggere, quando, l'altra mattina, ho trovato un file, spontaneamente scritto dal mio PC durante la notte, che rispondeva a queste mie metafisiche elucubrazioni. Un foglio simile alla superficie dell'arena intrisa dallo zampillo di sangue di tutti i tori che la spada del torero ha trafitti, mentre la loro furia, di colpo, si spezza in un bagliore rosso fuoco e il rantolo di agonia è coperto dall'urlo estasiato della folla: arena intrisa del sangue di tutti i toreri che il toro ha incornati, nei cui occhi in un bagliore stupito di bambino, si affaccia giù lo sguardo di morte e tutto l'amore, i rimpianti si rincorrono per finire inghiottiti in un vortice nero ed infinito; arena intrisa di lacrime di gioia, di pianto, nel buio della notte, quando i clamori si saranno placati e i protagonisti: il pubblico e gli attori, affronteranno, questa volta da soli, ben più terribili ....... nei loro agitati sogni. Un foglio che una folata di vento solleva e porta lontano e che per un attimo la luce di un faro strappa alle tenebre, un attimo prima che il capriccio del vento lo affondi in flutti di un mare nero come l'inchiostro, o nel putrido scarico di rifiuti urbani nell'impossibile smaltimento di ciò che l'uomo scarta e di ciò da cui si allontana, o vorrebbe separarsi. Un sottilissimo raggio laser esplora avido la sua superficie sgualcita, alla caccia di parole, un momento prima della sua perdita totale, un momento prima che il vento incapace di comprenderne di valore, lo affondi per sempre, sottraendolo alla fame di tutti. Un raggio irrequieto, avido, inesausto, che scorre rapido ricalcando i caratteri, ridisegnandone mille volte i suoi confini, distillando il significato di ognuno, da solo e di tutti, insieme. Il sottile raggio scava dal buio parole che sono aguzze e taglienti da far sanguinare il cuore al primo sguardo, parole che affondano nel cuore straziato, recidendo ogni legame col presente, col passato e che poi ti gettano nel deserto, disseccato e fragile come rami di cristallo che un sospiro può rompere in mille frammenti esili e leggeri, come sguardi lontani di colombe in primavera. Parole dure, intagliate nella roccia, testarde e crudeli. Indifferenti e disperate, tracciate da mani vecchie che non sperano più in nulla, ma che hanno mantenuto intatta la capacità di amare una fanciulla, ma che tacciono, tacciono mentre qualcuno stende sul loro inespresso desiderio d'amore una lapide di pregiudizio e di paura. Ma nulla si conclude, il foglio affonda, questo foglio affonda strappato alla lettura mentre il liquame cancella rapidamente le parole, ma un altro lo segue, altrettanto inespresso forse disperato e forse pieno d'amore, o forse tutte e due le cose. |
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