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l\'arte per visionari colmi di immaginazione
saggistica [ ]
- critica artistica -

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
di [jacquelinemiu ]

2007-05-09  |     | 




Per amare l’arte si impara.
Per crearla, forse, ci vuole qualcosa in più, una sorta di predisposizione e sensibilità maggiori.
La mia non è la verità artistica per eccellenza. E’ una gentile o ingentilita trasmissione di dati, generati da ricordi, studi, esperienze, persone della mia vita.
Posso amare, detestare, scherzare, impaurire attraverso un quadro.
Un quadro non è un’esperienza qualsiasi .
Per dirla alla Jankélévitch V. : “…come l’innamorato che ama ciecamente qualcosa senza alcun motivo, poi attraverso l’amore trasforma in qualità i difetti della persona amata.”, così io per la pittura.
La cosa più brutta non è vedere opere piacenti o meno.
I bambini che non hanno alcuna tecnica creano cose bellissime.
Loro usano quello che noi da adulti perdiamo: ingenuità, trasporto, ilarità, coraggio.
Davvero la cosa peggiore che può capitarci ( a noi artisti ) è diventare ciechi dentro.
A questo non c’è rimedio.
I difetti fisici si superano ma quelli affettivi sono barriere invalicabili.
Ludwig Van Beethoven componeva nonostante la sordità.
Renoir dipingeva con il pennello incollato alla mano a causa dell’artereo sclerosi.
Bocelli Andrea è un eccellente tenore nonostante la cecità.
Tutto questo è stato possibile perché in determinati artisti brucia una volontà e una passione per l’Arte, come una fiamma calda e inesauribile, la stessa che dà forza alla nostra vita.
Dipingo ad olio da quando avevo 12 anni.
Non ho mai cercato di capire perché avessi scelto una tecnica difficile per una bambina, quella della pittura ad olio, non solo ma in tutti questi anni le cose che mi hanno interessato non erano che i libri ed i colori.
Non mi è mai sembrato di aver rinunciato a qualcosa non comprandomi trucchi, abiti o gioielli.
Amo la pittura.
Amo il mio lavoro e non potrei amarlo di più o di meno, perché per me è come un figlio per il quale l’affetto che diamo è inesauribile e immensurabile.
La mia passione non si è affievolita con il passare del tempo o convertita.
Creo cose mai uguali tra loro, non mi piace la monotonia artistica.
Quadri di campi di papaveri per trenta anni come se avessi mancanza di idee.
….no signore, non sono io.
Mi reputo un compositore, la cui musica sulla tela dovrebbe fare sentire brividi di piacere.
Sono un ricercatore carico di studi di mitologia, religioni, ricordi, amori, che documenta nuovi linguaggi cromatici o possibili evoluzioni e sintesi della forma umana, nel quadro.


Per un’artista, l’opera non è mai finita.
Per un pittore, uno scultore, uno scrittore, la propria creatura possiede una vita propria che continua anche dopo il capitolo “ fine “, o l’ultima pennellata.
Siamo sempre tentati dopo, aggiungere o togliere qualcosa che ci sembra non avere visto in precedenza.
Lo facciamo, non perché siamo perfezionisti o maniaci o in mancanza di altre idee per nuovi lavori.
La nostra creatura ci chiama e noi come premurosi genitori ci precipitiamo ad ascoltarla e curarle l’aspetto interiore ed esteriore.
Noi,artisti, persone diverse perché più sensibili, noi visionari drammatici e profondi , noi abbiamo fatto della nostra Arte la nostra religione.
Noi che possediamo la virtù del non sapere dire nulla di nulla, siamo certi di essere dei posseduti, incatenati alla nostra immaginazione come Prometeo alla roccia.
Quello della pittura forse, è il cammino più facile da interpretare, da visionare, da “ digerire “.
In tutti questi anni mi sono ricreduta su molte cose, persino sul fatto che l’arte fosse una espressione libera e liberale, invece ora ho avuto la prova attraverso l’ispezione in gallerie note e meno note, che è una materia congestionata e “ costipata “.
Noi non diventiamo ricchi con l’arte.
Chi la vende, forse…


La cosa che più mi rende infelice è vedere l’assenza sul volto delle persone.
Persone come me, come te amico mio, persone che mi sembrano aliene patologicamente demotivate e inespressive.
Con chi condividere l’arte, con delle maschere?
Camminando non scorgo coppie di grandi o di adolescenti innamorate, effusioni d’amore, il classico mano nella mano, amanti innamorati che si rifugino nei bar, romantici che ammirino il colore del cielo o che si buttino tra le foglie secche dei parchi ( Dio mio ma ci sono ancora parchi? Ma le foglie secche sapranno distinguerle da una buccia di banana o da una merendina confezionata? )
Intravedo facce tirate e tristissime, corpi deturpati e privati dalla gioia del sano vivere, che vibrano velocemente, come biglie impazzite e col inesauribile potere di respingersi tra loro.
Parlavo qualche giorno fa con un amico e gli dicevo: “ Siamo un popolo atrofizzato e ignorante. “
Ho colpito vero?
E’ necessario che qualcuno lanci la bomba.
Comunque non ti spaventare, amico caro, l’impatto distruttivo di questo esplosivo, è stato anestetizzato dalla perdita di coscienza.
La coscienza di quelli che devono correre a visionare la milionesima puntata soporifera e diseducativa della seria televisiva preferita, che attendono come l’avvento del Messia la divulgazione giornalistica delle “ scemenze imperative e ruffiane di E.Fede “, che accettano con masochismo e devozione filmati ingenuamente prodotti per privarli dell’ultima goccia di innocenza rimasta.
Siamo dei barattoli decorativi colmi di ingenua accettazione, alla mercè di un carnivoro mercato pubblicitario.
Il Dio pagano Berlusconiano che si è creato altari nelle nostre case e una cara mamma Rai che insegna l’inappetenza di famosi su isole deserte; questi sono i nostri Godzilla succhia cervelli a cui
Alcuno oppone resistenza.
Sono loro i poverelli a cui doniamo illusoriamente soldi e tempo.
I nostri Alien hanno facce di ministri ed operosi industriali , di buoni parroci o di legionari della fede, pesino di una mamma o di un papà.
Ma l’involuzione della nostra specie l’abbiamo lasciata nelle loro mani, tacitamente,
Cosa ci succede?
Ci stiamo deteriorando come un ceppo di insalata.
La nostra convinzione di “ vita migliore “ è una brutta quotidianità che finisce in una ancora più degradante vecchiaia.

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