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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2009-12-13 | |
QUADRI DA UN’ESPOSIZIONE DI PAOLO SILVESTRI
La forma informa il senso del tracciato La strada percorsa O percossa (ascoltate, quando potete, il silenzio dell’aria incombe sulle nostre teste, sulle nostre viste, non percepite uno strano senso di disgusto e squilli di tromba che preludono ad altri squallori lanciati, capovolti da marce su Roma tondeggianti sensi del non essere vinti ma vincitori nello strazio; ascoltate, se potete, il silenzio incombe nel frastuono e non rimane nulla del grido, solo l’acuto fastidio assiepato all’angolo del cuore e il sapore del malessere camuffato nella rabbia che travolge, non percepite il senso del nonsenso insensato e messo e mosso dall’atto del non agire ma del solidificare, lasciare che tutto si posi e pesi sull’anima di ciò che resta del senso dell’essere.) Ascoltate, se vorrete, il silenzio non si può ripetere, non vi sono identità di silenzio, noi si vaga caotici, incapaci di percepire, fra le urla del ritmo ossessionato dell’essere in questa lastra dimensionale, il silenzio del nulla ch’incombe che ci comprende; ascoltate, invece, non potrete che restare estasiati dall’immane silenzio che sprofonda, e il pensiero canta vacilla nella voce atona, strozzata nella gola del cuore ch’esulta in questo silenzio beatificato dall’immagine del me che è su questo muro, l’immagine tracciata di ciò che sono o pensate che io sia, l’immagine dell’urlo che ho lanciato, ferito, quando mi hai lasciato, l’immagine dell’occhio chiuso, e il sapore delle tue labbra, Ed è silenzio nella frizione vaginale ch’esplode nell’urlo pre-natale. Noi si è In uno stato apparente D’esposizione permanente. Appesi al senso dell’aria (o del colore che rimane in quest’ansa molle che è il senso della terra o patria, terra di padri, ingenerati, creati dal caso in un cosmo increato, senz’ombelico ruotante ad un cordone spazio-variegato, prima mollusco e odore di sperma raffermo espulso nell’istante stesso della copula, poi attimo pensante, meditazione trascendentale o atto sessuale, esplosione seminale e idea che ri-comprende l’istante e attende che l’attimo stesso, istante creante, lasci variare, seppur di poco, la danza, il ritmo rapsodico o ciò che resta dell’istante stesso, infinito, dilatato oltre lo spazio pensato.) Immobilizzati nell’incapacità Dell’artificio Restati o rimasti appisolati Come assenti Incoscienti Impreparati al ciò che sarà Privati dell’essenza generativa In-generati Proiettati (l’artificio della proiezione sul muro bianco, l’immagine sviluppata lontano dal me, io, o cos’altro sia o potrebbe essere del me sospinto al limitare dell’essere, al di là del bianco del muro che non ferma o trattiene l’animosità creativa, generante un sistema biotermico da contatto carnale ad espulsione seminale. All’estremità sinistra del mio occhio cieco la tua mano e lo sguardo sorridente e pacato è un altro senso e m’acquieta e percepisco il lontano frusciare dell’albero nudo battuto dalla pioggia, mai così insistente e muta e muto le sensazioni del senso dell’immagine imbalsamata e un nuovo istante genera direzioni e ramificazioni sul muro proiettato al di là di me o cos’altro possa essere di ciò che di me è sospeso nell’ansietà dell’essere) All’infinito Oscura destinazione Dell’impianto devozionale. Evaporare Restare a mezzo del tempo Nello spazio aeriforme Materializzato il cielo Da una nube di smog Al sapore di sugo raffermo Carne tremula Assorbente dematerializzato Insanguinato Al termine del ciclo pregenerativo Abbandonato Fra le righe indaco dell’arcobaleno Risalire Discendere E poi cadere Frastuono di voci Dettagli Funamboli Vomitati dal cielo Senza rete Filtrati Rintanati Fra i segmenti tracciati Aratri dell’essenza Della terra Scossa Rimossa Dal palmo della mano Tremante Fremente Sulla tua pelle All’odore di ciclamino Al sapore di niente Nel nulla La tua bianca pelle La tua nera pelle scura Estasiato dal tratto più marcato Più mite Come lo sguardo Limpido come te. E qui Scendendo Brandendo Con la mano Scemando Con la parola E il senso dell’essere Pietrificato Nell’antro del tempo Assiepato, Il tempo, Dietro La ruga Vaga Ch’incava La fronte E dètta Il senso Dell’ironia Al senso della terra E’ un senso che Grida vendetta Penso Curvo come la collina Verde. Piano Come questa terra Il senso che penso Già desolata La terra Falciata Dal Non senso Intenso Penso al senso Della pianta Trapiantata Accudita Dalla formica Sbranata Nel termitaio abbandonato. E noi si resta Lubrificati Incapsulati Al resto Del mondo È buio pesto Da questa parte del niente. Viviamo in stati d’esaltazione cosmica Frementi Quando nel vagare degli elementi Iperuranici I sentimenti O ciò che resta Di un primordiale stato D’emancipazione emozionale C’inglobano Ci assediano E Lasciano le voci O suoni Di gemiti ancestrali Le anime dalla luna Ascoltano Vagamente Tendono l’orecchio O l’apparato udente Fatto di membrane sottili Invisibili ad occhio nudo Ma che traducono Le mozioni spazio-temporali In energia cosmica E rallentano L’avvicinarsi Dell’impatto Universale. Ieri, Di cammino In cammino, Di passo in passo, Barcollando sereno, Di ritorno Dalla pagina bianca, O dal resto di ciò che è scritto Rimasto sulla mia pelle Più che sull’onda del pensiero, O dell’atto Che atto non è Ma prudenza di ciò che resta, Improvvisamente, Quasi assaltato dall’insidia dell’essere, Umiliato Al centro della strada Dalla visione di un altro modo, Intuire lo stato d’ansia O la sazietà Del progredire In strade affollate Gridare vendetta Nel senso di pregustare il termine dell’odio, Odiato Ma trattenuto nel seno, Pungente Un odio Da niente, Mescolato alle carte Della maga, Rassodato l’odio per se stessi Impresso Nel calcio d’un mito, Mitolocizzare L’estratto conto E le variazioni borsistiche Al conato di vomito, C’è un sapore dolciastro Nell’aria, è un sapore di cose rafferme, Trattenute Fino ad esplodere del niente che si è. Ho rinfoderato la pistola O la spada di zorro, Il fioretto del moschettiere del re. Non ci volevo credere, Come se abbagliato dall’inconsueto Fossi venuto a contatto Con un altro senso O dimensione interiorizzata Del vago mondano, Temporalità astratta ove la sensazione del nulla Si totalizza empiendo la concretezza del tempo che squassa L’illusione dell’esserqui (tuttattaccato, invulnerato, squadrato e circondato dal timore del passo compiuto, il richiamo del piede lasciato indietro, attardato interiorizzato il piede abbandonato attende la visione dell’occhio concavo, convesso, genuflesso all’immagine santa profondamente il pensiero sprofonda nella carne viva attanagliata al dolore del chiodo trapassato fra ossa muscoli e nervi e la mano innervata lasciata cadere persa, ma le cose fluttuano nell’aria, e non si perdono mai come la mano e l’immagine santa evocante, il santo decollato, col capo e ciò che resta del pensato posato sulla mano schiodata e ritrovata) Un mondo piro-tecnico Mi girava A torno, tondeggiando, Io (o cos’altro ero, se ero, di vivo, o esser morto, o ciò che resta del me che non è cenere ma astratto senso dell’essere che permane vibrazione di forza o parvenza di potenza incipiale o esplicitata all’estremo della potenzialità che l’esser mio rappresenta o presenta in questa sbavatura del limbo spazio temporale, in quest’estratto di tempo senza più temporeggiamenti, tempo atemporalizzato, mietuto dalla forza di persuasione, io persuaso del tempo mutato in non-tempo, eternizzato per un attimo senza senso del percorrere distanze insensate, incompiute, l’istante dell’ero che sono che generalizza il ritmo della processione.) Io (o cosa’altro ero, se cosa morta o figura appiccicata ad una lastra fotografica, smossa di poco rallentata nell’imbrunire del cielo, sorreggendo i pensieri e le sensazioni e i rimandi a capo e i punti e virgola, sensazioni di alterazioni melodiche nel fluire magnanimo dell’essere stato) Io Balzato un poco dal luogo Quasi sollevato su uno strato aereo Ho visto l’auto squassare L’immobilità dell’area Sbalzato Ferito L’autista appisolato (o cos’altro era o potesse essere e vivificare quale illusione d’apparire e pregustare un senso d’altro apparire o mietere altri vivificanti sensi dell’essere o potenzialità dell’atto che è) Inquadrato nell’esposizione Dell’illusione che è E il ritmo del tempo Avido del suo spessore cosmico Richiude la pagina Sulla sua faccia E su di me O ciò che sono Seppur io sia, Logoro, Vivo o morto O in stato d’amnesia, In stato comatoso Di ritorno dal limbo, Appeso a sensazioni ancestrali E al labirinto di queste righe, Seguendo la scia tracciata Di ritorno Dalla remissione dei peccati Con gli occhi straziati e vinti Dall’immagine appesa al muro Appiccicata con lo sputo Chiodo e martello E la cornice antica E lo sguardo muto. IO O cosa morta Nemmeno Immaginata Casualmente viva In grado di respirare Polverizzato Parte dell’atmosfera cosmica Reso eterno dal pensiero Del Tempo che pensa Lo Spazio Percorrendo distanze ancestrali Rimango fermo ai piedi dell’albero A testa in giù Fra terra e cielo Sospeso In uno spazio Spazialmente illimitato Qui e ovunque È la stessa cosa Percepito il senso del nulla È la stessa cosa Come il tuo dito cucito Al bianco foglio resuscitato Dall’ansia del riga tracciata Incorniciata Noi si è In uno stato d’esposizione permanente Inquadrati Attaccati al muro E poi sparati via Fino alla luna, dimenticati Fucilati Lasciati ammuffire All’umidità Del tempo percosso. Scosso E poi lasciato andare Smosso E poi rimosso Il cartello stradale non ha nulla da dire O mostrare O nascondere O cancellare Mi resta lo sguardo assiepato E il sapore della tua carne E del rigoglio dell’esser tuo Ch’incede e rinvigorisce il pensiero Che ho di te E Me Qui Nell’istante stesso Del pensato E travolto Dall’atto Inattualizzato Dalla scoperta dell’illusione del nulla. |
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