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■ Geremiade
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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2007-02-03 | |
Poeti e Dei
Canto con la penna intinta Nel fiume purpureo, Liete gioie di giovani ubriachi. Scriverò gli anni che abbiam vissuto Cantando amori sordi, E come siano piaciuti , A quelli senza occhi come noi, I quadri dipinti di parole. Devoti e impotenti, che il Dio Vino, Ai piedi dell’Olimpo, Ci chiese a pagamento Non preghiere ma le nostre volontà Perché noi tutti Si voleva del pensier Divin castello, con stanze buie scordate dal destino, scaldate dal ricordo di una fiamma che portavamo dentro. Così armati partivamo….. Per conquistare il trono E quello scettro ambito Che noi poeti provetti Alla lotta di parola, bramavamo vincere nel nome della gloria. Chi trionfando canterà In virtù di somma poesia La sua conquista avrà, eterna. Io e gli altri cavalieri, pronti a servir la penna duellammo seduti intorno al caldo fuco, col sonno confinati in una stanza che non volevamo aprire. Poi venne il giorno. Brindammo con l’ambrosia sanguigna Il nuovo nato E li dedicammo per Il lieto evento Ricche parole: “Oh, luce chiara fresca non ancora calda, noi ti salutiamo. tu sia più cara al mondo, di noi quattro. Lunga fortuna possa lo sguardo avere se nel tuo acerbo, avrà nutrimento.” La cupola splendente all’orizzonte Ci scelse per cantare, l’inno per onorare Apollo. “In alto i calici, fratelli!” uno di noi disse, “A noi di gioie gloria, al mondo il trofeo del pianto. Oh,siano le donnacce e gli ubriachi i nostri Dei terreni, siano i loro mali le nostre meraviglie e i nostri canti; ci daranno un letto di spine in cui partorire il dolore che noi canzoneremo eternamente.” La gioia è breve. Non gode di poesia la sua storia. Il dolore si, il dolore appaga con quella nobile sofferenza che il cuore fa sentir più vivo appena si sente ferito nel profondo. Amici armatevi di una triste rima e sorridete al Fato. Oh Follia, amica bella, che mai mi perdesti sulla lunga strada o nei momenti di sconforto, abbraccia le nostre teste ebre e appaga i sogni disperati di uomini con le menti in fiamme. Le parole fan stagno nella diga del cranio, i vortici di macchie di inchiostro hanno sepolto l’innocente emozione con cui iniziammo. Ora, drogati di alcool e di orgoglio in piedi sulle vellutate sedie, Noi, qui a ricreare il mondo coi spiriti sereni, in questa stanza abitata dalla prima luce; Noi, che riportammo del perduto paradiso l’ombra. Tutto è in noi, degno del divino, gesto, spirito, parola. Per un attimo sembrerà che siam più puri e più grandi noi nella Poesia santi, più di quanto furon nella fede non uniti alla vita ma alla morte , gli altri.
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