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Il gatto striato
prosa [ ]

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di [inoltre ]

2009-10-31  |     | 



Il gatto striato, bianco e nero, seduto sul davanzale, rifletteva nell’occhio destro un pensiero ricorrente.
E la luna frattanto s’incupiva (com’era stanca, d'altronde, la luna!).
“Punge il pesce putrefatto, appena pappato, ingurgitato e mal digerito. Maledetta!!! Ah, non la passerà mica liscia la lisca puntuta, gliela farò vedere io; e anche l’imbianchino sbiadito e assonnato che ha gettato i suoi rifiuti, lui che ha mangiato pesce buono, ben cotto e saporito e a me? Io che non rompo mica, mia cara micia, con i miagolii e le scorribande notturne, io, che non mi comporto certo come quei mici di strada arruffoni e sporchi! Io che ho un curriculum vitae di tutto rispetto…. Io, dicevo, mangio i resti!!! Non ci sono più le mezze stagioni ed anche se ci fossero non cambierebbe gran che, però il fornitore lo cambio. Magari un metalmeccanico o un ragioniere o un triste avvocato….. un’altra pattumiera all’angolo della strada opposta alle tue fusa, miagolatrice del mio cuore, mia cara micia.”
Il gatto innamorato socchiude gli occhi quando pensa ai peli arruffati della micia fulva e il suo lento ronfare sembra ingigantire i pensieri echeggiando nella sera bagnata..
La lisca di pesce infilzatasi nel palato, infastidiva il bagliore di luce riflesso filtrato dal vetro della finestra e i pensieri sulla gatta rossa sembravano sgretolarsi all’eco del cuore sulla puntura sanguigna.
Ma i tuoi pensieri, mio bel gattone coccolato e ben pettinato, restano attaccati alla matrice della tua dimensione, innocui e vinti dallo scorrere del tempo. Incapace di memorie proprie il solco del tempo si ciba dei tuoi riflessi pensierosi e li annienta sviluppando uno speciale anticorpo alla tua passione. Il tempo ti avvolge e s’impossessa di te. Come la tua cara micia quando ti fa le fusa e ti rapisce e non ti lascia più tornare in te. In questo bagliore si spengono le luci dello spirito, l’amore si ossida e il buiore del nulla impregna di sé e di niente le nostre anime. E’ in questo turbinare di attimi e di passioni che le cose accadono, che gli spiriti si mobilitano e silenziosamente prendono posizione.

“All’ultima conferenza sulla dignità dell’uomo, gli intervenuti sono venuti alle mani, dignitosamente sdegnato mi sono alzato e uscito dalla sala.
Proprio mentre le voci prendevano il sopravvento squassando di riflessi fulminei il locale tutto, il silenzio mi avvinghiò completamente, eludendomi.
Come se lei fosse invisibilmente presente al putiferio l’ho scorta: illuminava l’angolo estremo della mia visuale rubandomi l’attenzione.
Seduta, quasi al limite fra il tempo accelerato dell’incontro e la calma di un animo indifferente alla successione degli eventi, nascondevi il tuo malessere apostrofandolo con un’aria di superiore disinteresse, ma la mano tremante e gli occhi socchiusi non potevano che tradire l’imbarazzo per il volgare trambusto.”
“Sei arrivato prorompendo il senso di disappunto e di alterità dell’atrio, un distacco appesantito dal mio malessere, dal sentirmi fuori posto. La prepotenza del tuo viso e del tuo passo che quasi volevano abbacinarmi, mi hanno scossa. Ti ho guardato e mi sono sentita quasi in simbiosi col tuo stato d’animo.”
“Ti ho ammirata e mi sono sentito in sintonia con il tuo sguardo aperto e limpido.”
Tutto questo è impossibile, fuori di qui tutto questo è impossibile.
Uscito dall’abisso del mio essere, rientrato nella bolgia degli uomini l’amore è impossibile.
Quando ci si ama si costruiscono diverse dimensioni d’essenza sostanziale.
E’ un miracolo quando sei qui vicina a me.
Ogni cosa impossibile potrebbe realizzarsi.

In concomitanza con l’ultima esplosione di violenza all’angolo della strada una mente riflette sulla possibilità che da questo triste ripetersi di stupidità e ignoranza possa germogliare nuovamente una rosa rossa, o una margherita di campo, bagnata da questa insistente pioggia, una giovane bianca margherita che si rialza dopo essere stata pestata e torna a sorridere e a farmi sperare.
Ma quel che sono sta valutando il posato, l’eco della goccia di pioggia sulla pozzanghera si allarga e trascina il ricordo del principio, a larghe ondate di deflusso ci si allontana dal centro scordandone il valore.
Ubicato in qualunque posto ov’io sia il centro del mondo esplode.
Tutto scorre.
Le gocce si rincorrevano sulla finestra per sparire ai bordi del nulla. E fuori tutto continuava a strascicarsi. Stancamente inutili i passi si caricavano di nuove illusioni, e i passanti si muovevano frettolosi, quasi a pretendere dal nulla circostante un altro spiraglio di luce, sotto la pioggia insistente.
La marionetta, scordato l’ombrello in cucina, si ripara dalla pioggia con un cavolfiore avvolto in un giornale, e l’acqua scioglie l’inchiostro sulle larghe foglie e il bianco fiore s’annerisce stupito ed inerme.
“Mio fiore, tu che mi hai baciato sulla bocca quando il silenzio aveva zittito i pensieri, non ricordi la tenerezza dello sguardo del cane randagio quando la mia mano l’ha accarezzato?
Ora sto mangiando un pezzo di pane e il sentiero che ho intrapreso si rivela più tragico di quanto pensassi, a volte le lacrime si rifiutano di inumidire l’occhio secco e strabico.”
“Qualcuno vuole allontanare i cani dall’albero al centro del paradiso, dicono che sia amico dell’uomo e per questo vada allontanato, ma il cane è un buon cristiano, fedele fino alla morte, non ha fronzoli per la testa, a lui basta ubbidire per un posto in paradiso. Il mio gatto, sinceramente è indifferente e non mi lascia scampo, tu mugoli sotto l’ala dell’aquila e mi fai compagnia.
A noi basta poco per uscire dalla strada segnata, un volo di farfalla o un alito di vento mentre il sole muore.”
Con la testa posata alla fredda finestra guardavi giù in strada cercando un pensiero che potesse riaprirti la speranza, mentre la notte buia, senza stelle, appesantiva i bagliori dei lampioni stradali riflessi dall’asfalto bagnato. Il gatto striato, accarezzato e viziato, incurante dei tuoi pensieri, si stirava allungando le zampe anteriori, facendo passare un lungo brivido alla spina dorsale fino all’estremità della coda completamente nera, e calva sulla punta. Poi si accomodava nuovamente sul davanzale a farsi accarezzare dalla tua mano inconsapevole, facendo le fusa sonnolento e stanco, controllando segretamente la disposizione liscia dei peli sulla schiena. E la finestra svaporata dal tuo respiro si appannava lasciando intravedere del palazzo opposto un altro spiraglio d’intimità illuminata a festa, nel segreto di un incontro d’innamorati. Ma tutto scivolava via, lentamente, fluidificava il tempo scandito dal turbinare delle nuvole attorno la luna, indicibilmente pallida e lontana… eppure confusamente i miei pensieri si sentivano attratti dal tuo pallore e dal segreto del senso del tuo essere, pallida luna, del tuo errare, migrare da un capo all’altro dell’etere trascinando i pensieri e le idee, rendendo vivi i sogni e vanificando la realtà.
Mia caro gatto striato, accovacciato sulla lisca di pesce, il cielo che tu miri è un’illusione cosmica, la pancia che ti gratti è un’illusione fisica e il mio pensiero che cerca di liberarsi dalle trame del senso è un’illusione dell’anima.
Assente l’anima langue.
Così lasciai la testa appoggiata alla finestra, presi l’impermeabile e uscii in strada per controllare che tutto fosse rimasto come l’avevo lasciato qualche tempo prima, che ci fosse ancora qualche speranza nascosta dietro gli occhi.
I tuoi occhi mi illuminano.
Quasi correndo alla ricerca di una sensibilità altra che fosse capace di infastidire questo pesante senso di vuoto che mi che mi tiene legato a sé, appoggiati al muro imprigionarono la mia attenzione dei versi, caduti chissà da dove e infissi chissà da chi, ai margini di un angolo di muro.

Posto all’estremità del cielo
Ove né ombra né luce
Sopravvivono,
Cosa puoi dirmi
Del fiore che sboccia
E della farfalla
Che sbianca le ossa
E screpita alla fiamma
Del giorno che langue?
Morto,
Ovunque,
Mai nato
L’essere si dissipa
Sibilando l’anima
Si neutralizza.
Noi si saltella
Da un posto all’altro
Mantenendoci in vita per un chissà.
Da un castello all’altro
Il gusto del nulla
Mi imprigiona.


E che dire del cielo!!!!!
“Sai angelo, quando eri nella pancia di tua madre, proprio all’inizio quando ancora il cielo non aveva i limiti del finito, avevo dei dubbi, incertezze paradossali, Quale immenso amore mi hai dato.
Tu sei un dono del cielo, figlio mio!”
“Anche tu che hai incrociato il mio sguardo per un attimo e da quell’attimo mi hai donato il tuo cuore, anche tu sei un dono del cielo, amore mio.”
E che dire del cielo!!!!
E della pioggia che scende!!!!
E che dire del tuo cuore e delle lacrime silenziose che scendono dai tuoi occhi limpidi e belli?
E che dire di voi tutti che mi circondate che date senso alla mia vita!!!!!
E che dire di me!!!!!
Un attimo ancora per chiedere perdono.


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