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I primi passi dell\'amore
prosa [ ]
_racconti di Natale_

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di [jacquelinemiu ]

2009-12-08  |     | 



.“Non ti svegliare.”. le sussurravo col naso appiccicato al vetro, mentre fuori gelava tanto da sentire nella carne le zanne del vento cercare fibra calda. Aveva troppi pochi anni, e quel giorno era il suo compleanno, quindici, che meraviglia se solo ne avessi avuti due in più.
Avevo chiuso in una busta bianca, una piccola sciarpa di seta, seta rossa, seta cinese, impalpabile e delicata proprio come lei.
Era la notte di Natale, il buio aveva masticato quasi tutto l’isolato, difeso dalle luci colorate ancora vibranti di forze. M’ero innamorato, non so nemmeno io come, forse a scuola durante quei interminabili intervalli, forse quando la vedevo al supermercato con sua madre mentre faceva la spesa; sempre col sorriso sulla faccia, sempre coi capelli raccolti in una interminabile treccia.
“Non ti svegliare, non ti svegliare, ti prego.”, mormoravo tra me e la sua finestra, unico ostacolo alle mie labbra abituate a masticare i fiocchi ghiacciati. La guardavo, e pensavo che avrei voluto che mi scoprisse, che mi parlasse, che mi volesse; meglio no, era meglio non rischiare il suo riso, la sua rabbia, o peggio una denuncia per molestie dai suoi genitori, mio padre mi avrebbe lisciato la pelle per un anno, per non considerare peggiori ipotesi di castigo.
La calma dei fiocchi bianchi, ogni tanto vinceva il mio sguardo, e sognavo ad occhi aperti di ballare, vestito come un cavaliere medioevale su quel prato abbracciato alla dama di cui ammiravo furtivamente il sonno.
Chissà come sarebbe baciarla, sospiravo tra me e me, a questa intima fantasia sessuale, che non dava il conforto che avrebbe dovuto, alla mia anima.
L’ombra si teneva nascosta nel braccio degli alberi spogli, e mi spiava con delicata freddezza, come se sapesse che gli innamorati non hanno pace nemmeno di notte.
“Vorrei che questo Natale lei mi notasse.”, e chiusi stretti, stretti gli occhi, lasciando che la forza del cuore spingesse verso un Dio buono, quelle piccole parole.
Nella casa oramai, tutti dormivano, e non volevo essere causa di disturbo, appoggiai il piccolo pacco sul davanzale della finestra, sopra un palmo di neve, augurandomi che fosse trovato da chi di dovere, all’alba.
Passarono due lunghissimi ed interminabili giorni. La mia famiglia aspettava ospiti che vedevamo solo per le feste natalizie, perciò mia madre non aveva il tempo di torturarmi coi suoi lavoretti socialmente utili; mio padre doveva completare con i miei fratelli minori il giro dei nonni, che erano troppo anziani per spostarsi.
Avevo scelto di chiudermi nella mia camera, e di abbuffarmi di musica, sperando di lussarmi le corde del cuore troppo dolente per un male incurabile ed invisibile.
Il terzo giorno accompagnai mia madre al supermercato per il piccolo rifornimento, come lo chiamava lei; tre carrelli pieni e stracolmi di ogni bontà che avrebbe accompagnato le nostre cene fino all’ultimo dell’anno, serata in cui la nostra casa si riempiva con gente allegra, e chiassosa come una balera.
Stavamo completando l’ultimo giro, quando seduta sotto la fila del macellaio la vidi, si, era proprio lei, Lucia, con la sua lunga treccia e gli occhi fissi sui passanti.
Che meraviglia,esclamai sottovoce, porta al collo la mia sciarpa rossa, non sapevo se correre a nascondermi, o fingere di non sapere nulla della cosa e salutarla.
“Ciao Lucia passate bene le feste?”
Lei alzò gli occhi e parve non volermi rispondere.
“Scusa adesso vado, ciao.”, non avevo il coraggio di sentirmi dire che ero un idiota, e distolsi lo sguardo dal suo viso seguendo mia madre, che non aveva notato la mia assenza.
“Ciao Matteo!”, gridò lei come se si fosse liberata dall’abbraccio di un drago.
Girato di spalle potevo solo immaginare che mi aveva sorriso, o forse l’illusione era più forte della stessa speranza.
“Matteo, grazie del regalo.”, la sua voce non era più forte del rumore che facevano i carrelli pieni spostati ovunque, lungo i corridoi del supermercato.
“Mamma aspetta, devo salutare una mia compagna di scuola.”, mia madre capì che nel mio comportamento c’era qualcosa di diverso.
“Piacere Carla, sono la madre di Matteo.”
“Piacere Signora, io sono Lucia, e questa è la mia mamma Elisabetta.”
Dopo le presentazioni chiesi a Lucia di passare un pomeriggio insieme ascoltando la musica che fa strizzare i timpani agli adulti, e guardare film in bianco e nero, che erano la mia vera passione.
Quando si presentò a casa nostra, mia madre le fece vedere una piccola usanza della famiglia Sirtori.
“Vedi quest’albero di Natale, è pieno di stelline di carta, e su ogni stella c’è scritto un nome, sono i nomi dei nostri amici, dei parenti e di tutti quelli che si aggiungono tempo passando, alla nostra famiglia; oggi se ti farà piacere, Matteo aggiungerà la tua stella sul ramo più alto e più giovane dell’albero, perché la vostra amicizia possa crescere fino a raggiungere i rami più bassi e più forti.”
Lucia sorrise, ed era come se avesse spalancato tutte le porte del cuore ai miei passi; ora ero certo che la nostra amicizia sarebbe durata per sempre.

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