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Dammi una cellula per ardere i ghiacci
prosa [ ]

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di [jacquelinemiu ]

2007-05-02  |     | 







Potevo essere migliore, più paziente. Ascoltarti come un frammento di cielo alla fermata del pullman. Ci amavamo. Anche la vita era stanca di vederci innamorati da così tempo, come piccioni sospesi sopra la testa del mondo, ignorandolo completamente e massacrandolo coi nostri sputi neri.
Avevamo un cuore pieno di speranze allora, come due formiche sopra una montagna di zucchero che la pioggia avrebbe sciolto, in autunno.
Le parole spasimavano per i versi d’eroi morti, complici nelle nostre fughe. Noi romantici e nudi di mode, senza un soldo, guardavamo dalla finestra dei nostri cuori le stagioni, come se fossero una sola, come se gli alberi non morissero per poter rifiorire un’altra volta.
Sopra le nostre teste, non pioveva mai, non nevicava mai ed il dolore era una cosa vuota, una parola a cui noi non sapevamo dare un senso.
Poi erano iniziati i temporali. Dal nulla spuntarono nembi scuri con le loro fauci nere che iniziarono ad ingoiare i nostri sguardi azzurri. Iniziammo a ferirci. Le gocce d’acqua perpetravano ferite e fratture al nostro mondo rosa, lasciando i cuori indifesi e scoperti. Arrivarono i lampi. Lingue di fuoco, impercettibili, veloci, dannatamente taglienti ed il nostro amore cominciò a piegarsi, dapprima su un ginocchio poi il pugno della tempesta, lo buttò del tutto a terra. La fossa nera col torbido guanto gli afferrava il respiro, legandolo al suo corpo. L’oscurità brillava come una morte sulla nostra incerta vita. I momenti insieme divennero insufficienti ed indolori. Divenimmo estranei, due corde legate da un nodo che c’impediva di separarci definitivamente. Ebbe inizio un’era glaciale, un inverno che sarebbe durato fin ad oggi. La neve coprì talmente bene i nostri orizzonti da non capire il vero colore del cielo, da seppellire il nodo che ci legava, da congelare per sempre i nostri sentimenti.
I cirri gonfi d’acqua buttavano fiocchi in continuazione, mentre il mondo pensava al Natale, ai regali, io riflettevo al tuo viso tatuato in una stanza del cuore. Non avevo le corde vocali per chiamarti per sussurrare il tuo nome. Avresti capito il mio richiamo, ma i lampi strapparono la voce all’animo lasciandoci storpi e deformi.
Non vidi più nascere le rose e se le violette avevano conservato il loro antico profumo, potevo solo immaginarlo. Capii che il freddo c’era solo nella mia testa, nei miei occhi, tra le mie mani. Gli altri avevano le stagioni, mentre per me il tempo si era fermato, come un orologio spaccato da un fulmine rimbalzato sui tuoi occhi.
Il freddo divenne un’abituale circostanza in cui cercare briciole luminose che potevano ricordarti. Catturavo la neve con la punta del naso e ridevo camminando scalzo, mostrandomi buffo tra i rami di lunghe conversazioni, immaginando il tuo ghigno trattenuto dal raptus di desiderio.
Ora sappi che vivo tra i ghiacci. Sono isolato, quanto mi basta per non disturbare gli altri con le mie stranezze.
Non faccio castelli di neve e non scrivo poetiche lettere che farebbero sbocciare le tarme nei tuoi cassetti di ricordi.
Ho ancora un occhio deforme che non vede l’azzurro del cielo, ma io so che è blu sopra tutto quel nero che m’indossa la vista come un cappotto bucato. Ho imparato a camminare guardando al reale, stando lontano dagli spigoli che il cuore a volte nasconde, bramando al caldo, quanto basta a trattenere le lacrime di tristezza.
Mi pesa più che esser solo la tua mancata presenza. Penso che per te sia uguale e se il vento odioso non ti ha risparmiato gli orrori della vita, io ti aiuterò ad alzarti, dandoti quel che mi resta ancora nel cuore da ardere. Almeno tu conservati calda e felice, almeno tu guarisci la vista. Bisbiglia al vuoto tra i tuoi sogni, stille di blu. Certo che ti sentirò, ma adesso devo andare a spalare la neve nel viottolo, nel caso tu aspiri a tornare. Una cellula d’amore da noi accesa, potrebbe sciogliere stì dannati ghiacci a cui non mi arrenderò mai.

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