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- TIME OUT NEW YORK !-
prosa [ ]
ground 0

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di [jacquelinemiu ]

2007-05-05  |     | 



- TIME OUT NEW YORK !-



L’aereo sembrava essere un imballaggio per biscotti. La quantità di gente pareva tanto impressionante da accelerare l’impotenza nel sopportare quel trambusto per tutto il tempo di viaggio.
Avevo ceduto il primo posto in prima classe ad una donna col figlioletto preso da un febbricitante attacco d’asma.
- Grazie, com’è cortese lei, disse la ragazza impressionatamene a disagio ma comprensibilmente sconfortata per lo stato di salute del figlio. Insomma aveva un bel paio d’occhi, viaggiava senza marito e la cosa mi fece apparire come un donatore d’organi consenziente ad un trapianto dal vivo.
La bella fanciulla ed il pargolo sparirono dietro la tendina blu, facendomi accarezzare l’idea di spingermi oltre. Il briciolo di coscienza superstite mi trasmise ordini precisi e sonori, di farmi gli affari miei.
L’hostess che in seconda classe sembrava aver esaurito i sorrisi, dimostratisi meno della metà di quelli che i sei stewart ti donavano nella business, mi indicò rapidamente un loculo fra il finestrino ed il posto sul corridoio centrale, proprio sull’ala sinistra dalla quale un motore simile ad una centrale termica, fumava turbinii di aria con una potenza impressionante.
- Scusi, signorina la cintura di questa sedia è unta, è possibile avere un altro posto?
- Signore, l’aereo è completamente pieno. Mi alzai in piedi e girai gli occhi verso i duecento e passa passeggeri che erano già ordinatamente seduti e con le cinture allacciate.
- Mi dispiace, continuo lei, senza degnarmi di una maggiore considerazione, cavolo, avevo pagato un succulento prezzo per viaggiare in prima ed ora dopo un gesto eroico come il mio, lei non mi degnava d’attenzione, insomma, continuo con voce studiatamente quieta; deve assolutamente sedersi, stiamo per decollare.
Il suo viso sparì rapidamente, lasciandomi interdetto e pigiato come un biscotto, tra un tipo grasso e visibilmente ansioso ed una donna di notevole età che era impegnata nell’accurata lettura di un giornale scandalistico, per uomini.
Il capitano invitò la sua squadra a prendere posto ed allacciarsi le cinture. Tre minuti dopo, un’onda come una deflagrazione in prossimità del mio orecchio, dovuto allo sbalzo di pressione, mi provocò una terribile fitta alla vena temporale.
Salivamo come spinti da una centrale nucleare, i motori rombavano con una forza tremenda e le ali affrontavano l’impegno vibrando in modo impressionante.
Meno male che non ero un pessimista per natura, ma penso che a tutti in quel momento sia balenata l’idea che a vederlo sobbalzare così l’aereo, veniva da pensare la possibilità che questi nell’attimo della sua ascesa sarebbe potuto cadere, per non so quale cavolo di difetto.
Insomma molti degli incidenti capitavano nelle vicinanze delle piste o in prossimità del decollo o dell’atterraggio. Fato stà che questo secondo di fifa lo provava chiunque, incluso l’equipaggio.
A ottomila metri le cose si assestarono, ma non per me. Il gentiluomo che sporadicamente faceva la navetta da e per il bagno, inizio a mangiare dei panini sospetti presi da una valigetta logora che sembrava un ipermercato viaggiante. L’odore del wuster si propagò nell’aria già asfissiante. Mi veniva da vomitare.
La vecchietta, che solo per un breve periodo tolse il viso dal suo giornale, si rimise gli occhiali sul naso ed elegantemente mi chiese se avessi potuto prendere la borsa a mano, dalla quale si servi di una decina di riviste, tutte diverse e di varia natura. Prima di sedersi mi offri la mano magra, con le unghie sobriamente curate, per presentarsi e scusarsi per il disturbo, abbozzando un sorrisino malizioso ma candido nel ringraziarmi in inglese preciso ma dall’accento straniero e molto marcato. Lei mi piaceva. Era confortante vedere una signora di vecchio stampo, impertinente ma assolutamente femminile, con gesti lenti e poco solleciti alla volgarità.
- Piacere, mi chiamo Clea, Clea Monier.
- Piacere Nick. Nick Sciammani a suo servizio. Le strinsi delicatamente la mano, mentre il mio vicino a sua volta si alzò per presentarsi ad entrambi.
La classe economica non era molto servita. Per un bicchiere d’acqua si rischiava la disidratazione. Meno male che il vicino, Pete impiegato alla Holler & Rich Bank, aveva un intero arsenale di bibite nel suo borsone.
Le prime quattro ore di viaggio mi videro concentrato su un taccuino, cercando di scarabocchiare frasi a loro modo dubbie o a sbirciare le gambe delle modelle sulle riviste della Monier.
Poi iniziai a fantasticare sull’anziana compagna di viaggio, osservando nei minimi dettagli la postura, il vestiario, il modo di tenere gli occhiali sul naso. Le considerazioni erano ottime. L’immagine di questa donna, mi assicurava che da giovane doveva essere stata bella, di una bellezza carismatica, magnetica più che fisica. I suoi occhi vispi avevano una naturale predisposizione ad ipnotizzare l’interlocutore. Aveva una piacevole propensione a sembrare fragile, ma la sua natura calma doveva essere di una struttura forte come l’acciaio.
- Mia figlia mi aspetta a New York, sa, è fidanzata con un promettente avvocato, ha lo studio in una delle Torri Gemelle, se ha piacere prendiamo un caffé insieme con loro. Lei mi sembra una brava persona.
Il capitano iniziò a comunicarci le informazioni sul viaggio.
- Vi informiamo che a New York ci attende un cielo sereno, la temperatura al suolo è di 32 gradi centigradi,…..
- Cleo spostò la rivista e sorrise verso il finestrino.
Potevo capire che dentro di lei ci dovevano essere un affetto ed una nostalgia smisurati, comprendevo che la figlia, era tutto ciò che l’era rimasto ed il suo ruolo di madre non aveva influenzato che positivamente le scelte di quest’ultima.
Pete vomitò. Ci prese di sorpresa. La sua camicia ed i miei pantaloni erano uno stagno acre di rigurgiti al wuster e salse varie, che lo stomaco si rifiutò di digerire. I miei conati di rigetto, riuscivo a controllarli solo per educazione verso Cleo che imbarazzata, si affrettò a tirare dalla borsa una grande quantità di fazzolettini bagnati, ringraziando Dio, senza profumo.
Ci aspettava una fila di una ventina di persone davanti alle toilette. I miei calzoni, odoravano d’acido anche dopo le varie insaponate, un pochino insufficienti. Uscii senza considerare il mio aspetto esteriore. In fondo mi sembrava di essere in mezzo ad un gregge a cui non poteva interessare minimamente, il mio abbigliamento.
Alle ore 14,40, ora italiana, l’equipaggio inizio a comportarsi in modo strano, tanto da mettere in allarme gran parte dei passeggeri. Eravamo tutti incollati al vetro del finestrino per verificare lo stato dei motori o delle ali. Qualcuno si alzò per verificare se in coda fosse tutto ok, cosa che rassicurò noi altri, appena tornò con tranquillità al suo posto.
Il capitano si fece risentire. La sua voce ferma consigliava di mettere le cinture di sicurezza, causa forte turbolenza. L’improvvisa sensazione d’immane bugia luccicò più della luce che colpiva dal sole raggiante. Un sole che a mio avviso, brillava limpido e sincero. Non vi era una nuvola a quasi novemila metri e la turbolenza se doveva arrivare, attendeva a formarsi da qualche parte nello scenario informato della cabina dell’equipaggio che pilotava il bisonte alato. Noi chiedevamo informazioni. Nessuno sapeva nulla, ma la paura ci costringeva ad attendere inginocchiati al silenzio delle hostess che sorridevano come se un pugnale le obbligasse a farle.
- Sta succedendo qualcosa. La signora Monier si appoggiò leggermente al gomito nelle vicinanze della mia mano, per sussurrarmi qualcosa. Vorrei tanto rivedere la mia bambina. Caro Nick, da due anni ormai, la sento solamente per telefono. La conversazione fu interrotta da un forte colpo di tosse. Pete vomitò ancora. Il panico sfortunatamente si era impossessato anche del suo stomaco. Fortunatamente mi risparmiò i vestiti, ma la scena fu terrificante. L’esplosione della sua bocca fu un corridoio che legava noi e la nostra vita umana, agli inferi. L’odore di Pete mefistofelico fece tirar su un bel po’ di nasi. La cosa sconcertante è che nessuno venne a pulire il posto di Pete. L’equipaggio era sparito, svanito, eclissato. I corridoi vuoti non davano segno di cosa buona. Provai a razionalizzare il pericolo. La paura insinuò un artiglio nella spirale della fede nel momento in cui il comandante ci parlò nuovamente.
- - Signori e signore alle 15,06, una delle torri gemelle è stata obiettivo di un attentato terroristico, perciò siamo costretti ad tornare indietro.
Le voci, le urla colpivano nel vuoto, isteriche e prese dal panico. Qualcuno cominciò ad alzarsi per correre nel lungo corridoio in cerca di personale, un membro dell’equipaggio che spiegasse la cosa, se ci poteva essere qualcosa in più da aggiungere.

Cloe si fece il segno della croce. Un gesto breve, distinto e intimo. Pensai che una preghiera in quel momento anche da un ateo come me, poteva fare del bene, a qualcuno e forse anche a me stesso. Cominciai a recitare sottovoce, un pater noster, di cui mia madre, pace all’anima sua, ne sarebbe stata orgogliosa.
Venimmo a sapere che erano crollate le torri gemelle. Il nostro aereo ritornò a Roma, in perfetto ritardo, con la cabina dei passeggeri infestata dall’acido delle rigettate di Pete e con il silenzio angosciante di Cloe. Ci salutammo quella notte davanti a due valigie che attendevano di imbarcarsi per Chicago, il giorno seguente. A New york arrivammo credo tutti, con due giorni di ritardo. Di Cloe non seppi più nulla, tranne il fatto che l’intero ufficio del genero crollò e che lui fortunatamente non si trovava li. La preghiera, se Dio quel giorno era in volo con noi, era stata ascoltata. Tornai a casa e dopo due isolati infestati dai soliti turisti, vidi Ground 0. La montagna di detriti mescolati a carne umana, aveva poco della fede che avevo ritrovato in volo. Non pensai solo alle vittime, alle tonnellate di cemento frammentate, ma all'intera città messa in ginocchio dall'atto disperato di pochi.
Andai in chiesa. Da quel giorno prego sempre per qualcuno, per me, perché non cadano più le case e gli aerei.


Nick Sciammani, corrispondente per il Times, a New York

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