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■ Geremiade
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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2007-05-14 | | La nera notte, allungava i suoi artigli come orrendi ossi senza giunture. Le luci della città deformi, non erano abbastanza robuste e rassicuranti per l’occhio che captava l’insidia nell’ombra, come un mostro. Il cuore accelerava il battito, fermando il processo della ragione. La paura trovando uno spiraglio, s’intrufolò come una cancrena in stato avanzato ed iniziò a martellare nel torace freddo, il cuore. Faceva male contare la grandezza della propria figura e smisuratamente dilatata quasi senza orizzonte. Faceva male immaginare la sofferenza dell’occhio cieco che cercava mete fisse, sicure. Il passo aumentò fin allo stremo delle articolazioni, provate da una corsa folle verso il centro del buio, nel nulla. La mente confusa dalle forme storpie ignorava la necrosi con cui la tenebra aveva abraso l’identità della natura. Il cielo ferito e debole, col pallido grigiore piangeva antenne come radici mutilate, di serpenti di pioggia. Le gocce fredde sul sudore caldo, vestiva la paura di febbre. La notte avanzava sul volto, con le sue unghie stravolte, dal continuo sfregare contro il terreno, lisciando il colore scuro sul muso del vento. Il soffio d’aria pasteggiava con le pozze che inghiottivano il piede, intrappolando la carne col tormento di non poter sfuggire all’inseguitore. Lo spetto immenso e con la bocca spalancata, iniziò ad ingoiare le ultime impronte visibili. Una mandibola cadde fratturando il silenzio ancora incolume aumentando il peso della goccia per la paura. Il mondo sembrava sconfitto dal grido famelico del titano nero. Nemmeno la speranza dell’alba accelerava il tempo, lento e terribilmente mutilato dalla velocità con cui il male avanzava. La trasformazione dell’oscurità in tenebra, fu percepita appena dall’occhio inconsapevole dalla propria debolezza. L’orbita cercava ancora e ancora degli spiragli di luce buoni o delle piccole insenature luminose accoglienti e protettive. Il cuore non ricevendo risposta dallo sguardo, continuo la sua corsa nella pazza ricerca di trovare in uno strato superiore di un sole che purtroppo mancava. Divennero dieci, cento, mille gli spettri che coi zoccoli infernali pestavano obliquamente la notte. Ogni secondo trascorso sanguinava. Ogni respiro corto sembrava un attacco d’asma. Il delirio mordeva il petto. Il modo era identico a quello dell’aspide velenosa e lasciava una traccia gelida, intensa, capita solo dalla pura. La fine della corsa si avvicinava. Il baratro in fondo all’assoluta tenebra, sembrava una cascata odorosa di zolfo. Tutto era vicino alla caduta. Il mondo stava per essere risucchiato dal demonio. Gli spettri galoppavano veloci ed i loro artigli sempre più vicini fendevano l’aria col fetore della morte. Nel momento in cui la strada finì e la spalla avvertì il taglio della malefica ombra, il momento in cui il cervello, riprese a pregare per le sue colpe si alzò l’alba. L’urlo del male guizzò nell’abisso profondo e nefasto, chiamando in aiuto tutte le forze oscure, piantando radici contorte sulla terraferma, finché la luminosa penetrò nel ventre di fumo. Il male pianse odorando il mattino e tornò sconfitto, incatenato ai raggi del sole, liberando le orme umane e gli occhi dalle torture notturne.
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