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La poetica di Nichita Stănescu
saggistica [ ]

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di [dyana_21 ]

2012-07-30  |     | 



La poesia magnetizza l’insolito in varie forme. Essa construisce il transcedentale e sviluppa la percezione della vita al contrario del tipico caratteristico dell’ uomo ordinario. Quindi, la trasfigurazione del sognare e del pensiero nelle parole permette la materializzazione interiore della loro essenza, il poeta diventando un Dio nel mondo che lui crea. Così, la natura del ogni nuovo-universo differenzia da un poeta all’altro, la confusione essendo impossibile, fatto per quale la poesia grida il nome del suo poeta.
Mentre alcuni poeti sono stati più riservati e hanno dato solo una formula poetica bell’esposta della realtà, altri sono stati distaccati assolutamente da questo quadro e le forme esatti del testo. Provocando polemiche, la poesia nonconformista è stato apprezzata per la disinvolura delle idee e dei concetti instituiti poco tempo fa. Un esempio eloquente, il quale „lo riattulizza Ion Barbu e Eminescu, nel suo lato serafico, visionario” (Eugen Simion), è il poeta Nichita Stănescu.
Essendo accanto a Marin Sorescu, uno dei più controversi poeti rumeni della generazione ’60, il poeta si è rimarcato tuttavia dalle caratteristiche eccezionali del suo verso. La poetica di Nichita Stănescu fa le acrobazie rischiose negli spazi inesplorati, costruendo gli universi al di là del limite della normalità. Ciò nonostante, il poeta scopre altri angoli di interpretazione del mondo e delle cose che lo costituiscono, conferendo anche a loro un’altra nozione invece di quella consueta. Così, la poetica di Stănescu è una visionaria, una delle cose e solamente dopo degli stati. Similmente a queste caratteristiche essenziali, nella maggior parte delle sue opere potremmo distinguere un’arte poetica di proporzioni che inizia, ma non finisce. Il poeta ha una predilezione speciale per l’esplorazione della poesia, fatto per il quale molti dei suoi testi incorporano l’essenza della parola, eseguendo nello stesso tempo un raporto causa-effetto. È incontestabile, perció, l’apprezamento che lo fa Eugen Simion al verso del poeta essendo una perfetta “poesia della poesia”.
Sorvegliando la decifrazione della poesia di Stănescu attraverso l’eviscerazione interpretativa rimarcheremmo un modo sacrificatore in cui il poeta si dedica alla parola. I suoi testi hanno una tinta biografica e un’apertura impressionante dell’ intimitá, siccome molti di loro sono esposti in termini della prima persona, singolare. Sebbene potrebbe essere considerata una proliferazione di falsi identità, la poetica din Stănescu ha, piuttosto, una biografia esatta, su ció che si riferisce al aspetto interno della sua personalità. Avendo l’abitudine di tagliare con le forbici le bambole di caucciù per scoprire cosa nasconde in sè l’uomo, il bambino Nichita ha avuto paura del vuoto sorpreso dentro, siccome, la prima volta quando ha scoperto questo ha rifiutato di mangiare per paura di non riempirersi, e, così, non potendo mangiare, di non morire di fame. La contraddizione ideatica rivelata sarà concretizzata più tardi nella poesia. Possiamo avere fame, perciò, anche se siamo sazi: “Solo che la mia fame non era nella bocca o nello stomaco. Ho sempre avuto fame nella testa. Immagina che il tuo dito abbia fame. Cosa gli daresti da mangiare? L’angoscia, la vera l’angoscia è avere fame con qualcosa che non ha bocca, con qualcosa che non è per mangiare.”
La tendenza metapoetica del verso di Stănescu si delinea in uno modo sorprendente. Nichita Stănescu ha adottato le parole come alcuni bambini ai quali ha insegnato sulla vita e le sue leggi dalla funzione: „Ho insegnato alle parole di amare./ Le ho mostrato il cuore/ e non ho smesso finche le sue sillabe non iniziavono a battere” („Ars Poetica”). L’esistenza risiede nel entrare nelle cose fina all’ osso. Quest’idea staccata dai versi genera un’ altra secondo cui la parola espone un sentimentalismo assoluto: „Le ho mostrato gli alberi/ e quelle che non volevano frusciare/ le ho impiccato senza pietà, ai rami.” In questo modo, la parola è una fila di lettere sistemate solo sul piano materiale, mentre la forma coerente soggettiva, cioè la forza immateriale che si ottiene solo attraverso la ricoltivazione della parola dalla parte del poeta. Le „creazioni” perpetui marcano, così, un’altra natura della parola che puó essere spiegata dalla teoria di Heidegger sulle cose di „qualcosa come qualcosa” (etwas als etwas): in modo tale che lo sguardo ambientale comprensivo-interpretativo identifichi la scarpa come la scarpa e l’acqua come l’acqua, il nostro sguardo interpretativo attribuisce alla parola il senso nel rapporto con il nostro sè, fatto dichiarato anche da Nichita Stănescu in continuazione: „Alla fine, le parole/ hanno dovuto assomigliare a me e al mondo.” Ulteriormente nello stesso testo, il poeta presenterà la poesia come un passaggio nello spazio metafisico dove le cose metamorfosano e deteriorano la teoria di Heidegger, poichè „qualcosa” diventa attraverso la transfigurazione razionale „un’altro qualcosa”: „solo per fargli imparare come si transporta il mondo da lui a lui stesso.”
La sostanzialità della parola ottenuta attraverso la „creazione” e ri-„creazione” si espone anche nel testo „Il palazzo dell’aquila”, dove il poeta, come ho già segnalato anteriormente, è quello che si fa crescere la materia della poesia: „Le parole sono i pupi che noi allattiamo/ con la nostra vita”. Così, il concetto, attraverso il quale finalizza, esprime in un modo ammirabile la risposta alla domanda: „Chi è il poeta?”: „I poeti sono i padri che nascono padri,/ sono quelli che si squartano/ per la brama della femmina delle parole”. La precisazione di questa idea riesce a scioccare per mezzo della maniera di presentare le idee, caratteristica che occupa una posizione speciale nella poetica di Stănescu.
Nel piano nozionale, Nichita Stănescu è il poeta che riuscirà a concepire le „non parole” come una forma superiore della parola attraverso la conformazione. Nel testo poetico, con il titolo idem, lui deprezza, in qualche modo, la comunicazione e l’esposizione verbale, focalizzando gli stati in una nuova fattura: “Lui mi ha esteso una foglia come una mano con le dite./ Io ho esteso a lui una mano come una foglia con i denti”, fatto il quale non allevia la potenza dei sentimenti reciproci: “Sentivo come si rende più intensa la sua linfa battendo come il sangue./ Sentiva come rallenta il mio sangue sallendo come la linfa”. L’unità universale esibita attraverso il rapporto uomo-albero è creata, perciò, sulla fondazione di una “sopra-parola” (come dice Nichita Stănescu) che non ha forma, ma solo sensazione: “Come ipotesi di lavoro utilizzeremo il termine “non-parole”, per indicare gli elementi primordiali della poesia in quel modo come esse nascono, senza nozioni e ambigue.”
Accanto alla metalinguistica, la metapoesia di Stănescu è sorprendente attraverso la nuova espressione della definizione. L’astrazione presa inizialmente dall’ ermetismo della poetica di Ion Barbu si svolge stavolta molto più ampiamente: “Le parole corrono, si fanno trasparente” (“Oh, le cose!”), ma la poesia è percepita come un oggetto: “l’occhio che piange”, “la spalla”, “l’occhio della spalla”, “la mano”, “l’occhio della mano”, “la pianta del piede”, e “l’occhio del tallone” (“La poesia”), allo scopo che alla fine il poeta esclami che, davvero, essa “è il pianto stesso, il pianto di un occhio ancora non inventato”, del quale non sarebbe sbagliato presuporre che sarebbe proprio l’occhio dentro di noi.
Dallo spettro tematico della ars-poetica, il testo che, credo io, può essere aprezzato come una mostra ideale non è altro che „Il poeta come il soldato”. L’incipit dei versi che annunciano che il poeta non ha vita personale incorpora in sè l’essenza dell’ intero testo in cui Nichita Stănescu sintetizzerà la maniera di percepire le cose e di sopravvivenza: “Lui pone il suo orecchio sulla pancia del cane affamato/ e odora con il suo naso il muso socchiuso/ fino a quando il suo naso e il muso del cane/ sono gli stessi”. Il contatto non è affatto fisico, ma piuttosto, uno spirituale, la fusione interiore simboleggiando, così, l’identificazione del poeta con tutto quello che esiste nelle sue vicinanze, affinchè, potremo rimarcare che lui vive solo dalla vita degli altri, dall’incarnazione che non può essere percepita con gli occhi, ma con il cuore: “Non credete il poeta quando piange/ La sua lacrima non è mai sua/ Lui ha spremuto le cose dalle lacrime,/ Lui piange con la lacrima delle cose”. Il modo in cui Nichita Stănescu scrive il suo pensiero nel verso è stupendo dal punto di vista della composizione ideativa, la sua poesia producendo nello stesso tempo “un rovesciamento della percezione” (Nicolae Manolescu): “Protteggetevi dal dire a lui una cosa sentita/ Immediatamente lui dirà che lui l’ha detta,/ e lo dirà in un mondo che anche voi/ direte che lui l’ha detta veramente”. L’apice della poesia ha una inflessione eminente concordata all’ astrazione poetica che segue: “Ma, sopratutto, vi scongiuro,/ non toccate il poeta. (...) le vostre dita rimanerano su di lui/ e lui stesso sarà quello che si loderà/ che ha molte più dita di voi./ E voi sarete obbligati a dire di sì, che lui davvero ha molte più dita.” In questo modo, Nichita Stănescu scopre il percorso esistenziale del „sopra-uomo”, cioè del poeta, che secondo lui non potterebbe formarsi solo nel rapporto con le altre cose al di fuori, è dunque una relazione di concordanza tra il poeta e il mondo.
Leggendo minuziosamente i versi di Stănescu, riveliamo lo stesso inedito della poetica e della lirica erotica in cui la poesia “Amore come giovane leonessa” è un punto essenziale. Essendo una poesia espressionista, Nichita Stănescu riuscirà attraverso questo testo a presentare l’amore come una passione devastante dal simbolo animale: “Amore, come giovane leonessa,/ mi sei venuta incontro./ Mi avevi teso un agguato/ da molto tempo./ Conficcandomi i suoi denti bianchi,/ mi ha morso la faccia, oggi, la leonessa.”. L’amore ottienne, così, un specifico impulsivo e mortale che disloca la coscienza: “Ho toccato con mano le sopraciglia,/ le tempia e il mento,/ ma la mano non le ha riconosciute”, transfigurando la realtà e l’uomo in uno albero infruttuoso. La tentazione satanica della passione nel testo inizia e finisce, comunque, con questa poesia, siccome altri testi presentano l’amore in una formula più moderata.
Così, contrariarmente a questa espressione demoniaca, nella poesia “Nel dolce stile classico”, il sentimento è raffigurato in un modo galante – “sintesi tra lo stile elegante di trovatori e i lamenti d’amore durante il tempo di Ienăchiță Văcărescu sottoposta dal poeta a un trattamento di rigenerazione – la caricatura” (Alex Ștefănescu). “Il passo della signorina”, che diventa un leitmotiv evocando il passare del tempo, attraverso l’inversione del effetto, non passa contro una roccia, ma “Da una roccia scende”. L’impassibilità del personaggio verso l’amore convenzionale, quindi, lo presenta “maledetto e semidio” essendo nello stesso tempo rattristato ad alleviare il sentimento che passa “come sul timpano” provocando gli stati d’angoscia e del sentimento specifiche alla poesia di Văcărești: „perchè mi fa molto male”. Deve essere, quindi, osservata la maniera in quale poesia di Nichita Stănescu non è analoga a quella di Eminescu – la manutenzione del senso e la reformazione della struttura del testo in un altro diverso dal primo, ma è sempre “qualcosa d’altro”.
Scendendo all’iniziazione la genesi del sentimento d’amore è sorpresa squisitamente nel testo „L’età d’oro dell’amore”, poesia che contiene in sè il bello: „Le mie mani sono innamorati,/ oh, la mia bocca ama,/ ed ecco, mi sono svegliato ed ho visto che le cose sono così vicine a me,/ che appena posso passare tra loro/ senza farmi male”. Le personificazioni coinvolte sono una prova che l’uomo entra nell’amore con ogni sua parte del suo sè, essa, come una lente, avvicinandolo al mondo, a un superiore vivere. In questo modo, contaminato con ipersensibilità, l’ego lirico percepisce le cose diversamente da prima, la vita ottenendo come esse un ritorno impressinante: senza dormire, lui non esuarisce la vitalità, gioca con gli dei d’avorio avvitandoli nella luna “come delle maniglie scolpite”. Comunque, questa felicità non è completa: “con le vele dell’anima/ gonfie di brama/ ti sto cercando dapertutto”, l’amore essendo un uccello che inizia a volare solo avendo le ali dei cuori di ciascuno dei due.
Un’altra maniera dello sviluppo del tema erotico coinvolta la poesia come un modo di transfigurare la persona amata nell’amore. A questo proposito, “L’evocazione” e “Canzone senza risposta” sono due eloquenti esempi. Avendo come soggeto centrale il Bello, diventato ideale nella concezione di Platon accanto al Bene, alla Verita, Giustezza ed Armonia, il primo testo inizia con la descrizione fisica dell’amante che, in fondo, è una pittura spirituale mascherata per creare un ponte per la trasfigurazione. La stessa procedura viene utilizzata da Stănescu anche nella “Canzone senza risposta”, ed è, comunque, una differenza in confronto al tempo di passare nozionale dalla persona amata all’amore. Nel primo testo poetico, Stănescu lo realizza in un ritmo allegro, mentre nel secondo il passaggio è più lungo, la transizione iniziata con „donna sognante”, continuando con „donna delicata”, „occhi malinconici”, „ora indimenticabile” e finalizzando, solo dopo con l’amore, „vortice delle stagioni”. Le definizioni che sono segnate dal poeta di conseguenza, da all’amore e all’amante la dimensione della divinità che è in grado di ricostruire l’ondo e cambiare il caleidoscopio celeste non proprio del mondo, come dell’animo: „colornado un cielo/ sempre un altro,/ sempre quasi/ come una foglia che cade”.
L’evoluzione del ego di Stănescu sorpende una personalità ben definita, fatto quale avvicina il lettore attraverso le confessioni intimizzate e la forma di coniugazione dei verbi in prima persona. Ogni poesia sembrerebbe avere un ego diverso, ma la poesia di Stănescu ha un ego singolare il quale sviluppa la sua esistenza e i suoi sentimenti gradualmente. Entro questa scrittura, il poeta annuncia, in particolare, la vista filosofica, assegnando la sua esistenza a tutto ciò che è davanti e dietro a lui. Così, in un odei suoi testi, Nichita Stănescu dice: „Oh, le cose non sono cresciute con me/ Sono state fino al mento/ una volta nella mia infanzia, coperta/ di nebbia” „Inno”, cercando di dimostrare la natura statica delle cose e quella dinamica dell’ immaterialità, cioè dell’ uomo.
La tinta shakesperiana che hanno alcuni testi attraverso la lora retorica esistenziale individualizza ripetutamente la personalità del ego poetico: „Sono e non sono. Sei e non sei. Chi potrebbe sentire? (…) Delle pietre mi piace l’onice/ Dei movimenti, sollevermi al pensiero” („La musica”). Metaforicamente rivelata questo sollevamento al pensiero è l’unico modo di sopravivere del poeta annunciato nella poesia: „Oh, le cose!”: „Cerco di salvarmi/ e non posso null’altro che/ alzare le parole stellate al di sopra”, fatto quale riattuliza la caratteristica di metapoesia della poesia di Stănescu. La stessa retorica si trova anche in „La lotta del cuore con il sangue” dove il personaggio non ha nulla più che la sua propria esistenza: „L’unica mia preda è la mia vita./ Tutto ciò che posso perdere, tutto ciò che posso perdere/ Ma chi potrebbe dire/ cosa posso perdere?!.../ Ma cosa significa „chi”/ e „perdere”, Dio,/ cosa significa „perdere-perdita””. In questo modo, la poesia di Stănescu ci ricorda di Amleto: „Essere o non essere?”.
Un insolito concetto di conoscenza di sè comunicata nel „Testamento” sta construendo un uomo che sembrerebbe essere soprannaturale: „Solo il nome non/ mi ricorderai/ perchè lui ha/ un’infinità di corpi/ e potrebbe mostrare/ quello/ che tu non conosci!”. L’idea esposta può essere interpretata in decine di forme. Il personaggio indossa in sè le vite e l’emmozione delle migliaia di uomini, quindi, è ipersensibile. Inoltre lui è immortale e sopravvive vestendo un altro corpo.
Anche se può sembrare insignificante in relazione agli altri testi rappresentative della poetica di Nichita Stănescu, i versi: „Chiudo le palpebre fino ai piedi,/ come se fossero un’occhio./ Di sicuro, sono un’occhio./ Ma in orbita di chi?” tradiscono la fondamentale particularità della sua opera: il visionario astratto, che ha segnato la sua personalità artistica come un latinante vincitore dal tipico della poesia. Come esempio formidabile potrebbero servire due versi della „Canzone”: „La mia tristezza sente i cani non ancora nati/ abbaiando gli uomini non ancora nati”. Queste entità ancora non concepite, tuttavia, immaginate dal poeta, riffletono l’acutezza del dolore e la capacità di trasporre nelle parole gli stati culminanti nelle poche parole e le idee abbraciate dal’astratto.
Considerata dai critici (e anche dal poeta stesso) come la più resistente parte dell’opera di Stănescu, le „Elegie” è un ciclo unitario che, secondo Maria Papahagi, potrebbe prendere come moto gli versi dell’ultima poesia: „Tutto è così semplice,/ così semplice, che/ diventa inspiegabile”. Trattando il tema dello sviluppo del sè, le „Elegie” possono essere interpetate come una fusione dei contrari che generano la combustione. La seconda elegia impone il mito come un ponte tra immagine e concetto, mentre la terza impone la conteplazione come un ponte verso la conoscenza: „Gli alberi ci vedono,/ ma non noi a loro”. L’idea di sublimazione dei sentimenti e dei miti come generatore degli stati di conscienza nella „Quarta elegia” si ramifica nelle prossime quattro elegie attraverso le successive sublimazioni, comunque nella nuova, „L’elegia del uovo”, Nichita Stănescu rifa il senso della vita e della poesia attraverso il rilascio del sè e dello spirito: „„Il sè” cerca di uscire fuori dal „sè”,/ l’occhio dall’occhio, e smpre/ stesso si lascia/ come una neve nera, di peso”. Così, infine, „La decima elegia” abbraccia l’idea di indentificazione del sè con l’universalità come un vivere di tutti gli eventi dell’universo, mentre l’ultima è una sintesi di tutti loro, avendo come soggetto la conoscenza del sè come un punto finale della maratona della vita.
È molto incredibile il modo in quale Nichita Stănescu da senso alle parole, affinchè, ogni poesia sciocchi attraverso le sue idee („Campo”, „La perdita dell’occhio”, „La lezione del volo”, „Quelle quattro coerenze fondamentali”). La sua poetica è semplice, ma astratta, proprio come lui stesso. Mircea Cărtărescu si ricorda il momento quando è stato per la prima volta faccia a faccia con Nichita, sentendosi intimidito, fatto per quale, dopo qualche tempo, il poeta non ha sopportato questo silenzio: „Vecchio, basta! Hai ragione, sono il peggior poeta del mondo. Ma parliamo, comunque, e incriniamo un bicchiere come due amici.” Spiegando che, infatti, lui ha taciuto per il suo grande rispetto e rivolgendosi a lui con „Voi”, Nichita Stănescu ha fatto a lui un’indagine, poi ha detto: „E poi, se a Dio dici tu, perchè a me dici Voi? Dai, vecchio, chiamami Nichita, e che ci siamo in salute!” La semplicità derivante da quest’immagine lo presenta nel modo più bello, le sue parole avendo un’impronta per non confondarlo con un altro.

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