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Poezii Rom�nesti - Romanian Poetry

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Inquietudine dell\'essere 4 scene
poesia [ ]
(in morte del faraone)

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
di [inoltre ]

2009-12-12  |     | 



Fleba il fenicio morto da due settimane
Dimenticò il grido dei gabbiani
E la profonda risacca del mare
E il profitto e la perdita……





Pre-ambolo

Recitato e poi cantato
E via di seguito
come se nulla fosse accorso
perché tutto
è vagamente astratto,
poco percepibile
e maledettamente difficile
da comprendere,
portar con sé
assimilare al senso del me che vaga
nello spazio illimitato
dove ogni cosa può esistere,
realizzare il senso stesso dell’esistenza astratta
concretizzare il fumoso verificarsi
dell’accadente
poiché l’accaduto è dimostrato essere invalutato
e tutto brulica di dolore,
selvaggio dolore che adempie il sacrificio
che è risveglio dell’esitazione del vago realizzarsi dell’evento,
poiché è la carne che si chiede,
si domanda l’immolarsi,
gettarsi contro i vetri
e tagliuzzarsi,
perdere e sangue e carne
e simile a sangue e vino
e abbeverare
il sudario
(la e congiunge, non lascia l’attesa
ma tutto riporta al principio,
perché tutto si collega,
s’unisce all’inizio
e al suo ritorno):
ci vuol coraggio
a decifrare l’assemblaggio
musica e parole
e odore astratto
vago simulare dell’essere,
tutto di seguito, senza respiro,
sudorazione dell’occhio pazzo,
inquieto,
senza pace
m’immergo nel me,
stessa soluzione
immobile
recepisco l’oggetto soggettivato,
modulo la voce
e m’inietto il canto.
E rimase l’ombra dell’esistito,
come il ramo è il ricordo della gemma e del frutto
e l’ombra della foglia veleggia al respiro del vento,
immobile
l’attesa
soppesa le parole
e il bruciore di stomaco.


Prologo

Inquieto, guido i miei passi altrove
sorreggo emisferi in delirio,
non vedente vago, impaludato
nell'ossessione della prima volta,
eternamente, senza filo di speranza.
Io trafitto infestato da minuscoli
ranuncoli aggregati alla minaccia
d'umana ignominia. In sequenza
il giorno, già sceso alle spalle
della turpitudine, declina l'invito
e scende a capofitto in questa
piana desolata, senza senso.
Sorreggo l'assalto del vuoto,
come anima in peste percepisco
l'illusione del tempo, valutando
convenienze e quote, inserendo
calcoli infinitesimali sulle orme
dei brontosauri impresse
prima che l'ora del getzemani
lasciasse orti e ulivi privi di seme,
ho ingerito lo sputo senza concezione
e, sconvolto dall'immenso, senza speranza
assaporo l'ostia, privo d'assoluzione
ingoio il vuoto.
Poichè noi finti
attorcigliati all'irreale monotonia
televisiva,
arroccati a fandonie sulla necessità
del balsamo all'olio di fibre di pelo
di fica marcita prima che la calvizie
disossifichi il cranio,
noi finti
gestiamo avanzi di illusioni,
prestabilite marce nuziali
e morti accidentali.
Fintantoché
il viadotto al limbo estremo
sarà saturo d'aborti di gas di scarico
e gli angeli caduti
già bramosi di donne
vi solcheranno
l'immutato scoscendere del tempo,
gremita la sala d'attesa sbuffa fumo e noia.
Fermo il resto del tempo,
obliquo il senso dell'essere
disfatto
come già la vergogna
e l'ammasso del fascio di grano.
L'elefante afgano
seduto sul palmo della mano
spalancando l'orecchio destro
e il pube dell'emisfero orientale
soffiò polvere di petali sfioriti.


scena I

coro

Con voce serena la pacata signora
introduce la gestione del Sé.
Piove e l'acqua germina
incostanti sublimazioni.
Sono cieco e mi muovo tastoni,
nulla si è infilato, ad ora,
nell'occhio morto,
forse per passione dell'atto.
In me, a volte,
lo stupore del silenzio.

I° voce femminile

Nel vago errare della morte,
nella catena di montaggio,
una vite arrugginita,
lubrificata, impietrita
nel volgere del destino,
si è scontrata con le dita
un bollore rosso
(sangue raffermo)
ubriaco di forza mi ha dilaniato.
Le finalità compiute si dissolvono,
nel limbo pretemporale
i cicli si estinguono.

coro

Inserita nel ritmo del tempo
di traino la monetina e la
tazzina di caffè: inserire
espiare, attendere, distogliere
lo sguardo dalle tue cosce
prima che lo statico spruzzo
di spuma
irriti la pelle del portafogli.
Esperire le forme e i risultati.
Ho male ai piedi e le braccia
molli,
genuflesso
mi piego dinananzi il chiarore
lunare,
fisso nel mio occhio cieco un lume
quel senso di pietoso interesse
dell'oscurità che è luce spenta.

II° voce maschile

Quando il tamburo smise il battito
caddero i remi, la nave filava
sull'onda
silenziosa come una farfalla, schiuso
il bozzolo del verme filiforme ed ocra.
M'alzo dal fiore, purifico il nulla,
impollino le fibre dell'aria intatte,
mietute nello spazio lubricamente vuoto,
intorno a me pullulare di ragioni:
enneagramma, grafica esperienziale
Anch'esso scivoloso
il battito d'ali dell'aquila squassa
il cielo quieto: schiaccia il tappeto
di nubi sull'onda del ruscello e s'immerge
a risucchiare il vento gelido
nell'immenso spazio senza fine.
La mia mano si strugge in cerca di te
nel silenzio della pelle vellutata
e delle tue labbra rosse.
Siediti qui, anima gemella,
e scruta quest'orizzonte fin dove
l'occhio combatte con l'infinito,
raccogli la polvere degli anni
e gettala alle spalle
e nel castello argentato
dove i balli sono cessati
e la musica vive di echi
riposeremo i sensi pacati.
Siediti qui, anima mia,
ora che il sole ci scalda le spalle
e il calore invade tutto il corpo,
ora che le ore si sono fermate
ad assaporare le luci del tramonto


scena II


Giovane faraone ed un teschio

Il tuo silenzio mi accusa
e la vertigine dell'orizzonte
di questo immenso cielo,
di questo nulla,
del rumore della macchina da traino
dei circuiti elettrici.
E il tuo mutismo
quando a casa sgranchisco le ossa
e allungo le gambe sul tappeto.
Taci scheletro, taci,
le tue ossa attaccate con lo sputo,
la tua voce alitata con lo sputo,
taci.
Sono stanco del rabbrividire dell'osso
nudo
e dell'indifferenza dell'occhio cavo.
Ora che le parole non hanno più valore
ora che tutto è perso nell'ignominia
dei fatti, taci
e raccogli gli spigoli di cielo superstiti,
in questo silenzio che è padre e madre
del suono inespresso, di come modulo
la voce a portare ingiurie al tuo domani.

Bevi, cara, bevi
questo è il calice che ti hanno dato,
insozza le budella col vino,
quello che ti hanno dato
e lava le dita con l'acqua
che ti hanno data.
Vieni, cara, vieni
ci toglieranno l'affitto
e ci daranno nuove regole condominiali,
vieni davanti la tele.
Visioni
occhi chiusi iniettano memorie fotografiche,
silenzio, il progresso, in proporzione
al suicidio del capofamiglia
annienta l'evoluzione della terra
la luna si ciba di ritmi alienati.


II° voce maschile

Affìdàti al vento come un sospiro
alitato nel silenzio di questa invasione
(percependo l'inizio la fine sorride
all'altro capo del telefono)

Faranone morto

Un attimo ancora, voglio riempire l'occhio
di luce, così tenue all'incedere del giorno.

II° voce maschile

Un placido bagliore invade la pupilla
e nella successione delle immagini
caricherò la pistola a salve,
scuotendo visioni, ricordi appisolati
nella trincea dell'occhio squassato.
Con un bacio voluttuoso sfigurerò
la maschera del fiore

I° voce femminile senza interruzione

e l'idea priva
del petalo, assisa all'ombra del melo
s'immergerà nel cielo stellato.

Faraone morto

Dove sono io ora?
Quale legge è in Me?
Son vissuto fra un angolo del bagno
e l'anticamera del ripostiglio:
sfibrato, tatticamente buttato fuori,
con un terribile mal di denti,
ingurgitando tessuti cerebrali
e muco rapito al naso
mediante buona aspirazione e coraggio,
quando anche il fazzoletto
non ne vuol sapere di quel che passa
in testa.

coro

Mio padre in guerra, nel quarantadue
nella pigrizia del tempo andato,
insollecitato, visitò teschi del passato.
Per cause in corso d'accertamento
brulicò come raffiche di mitra,
fra quelli dei cinquemila che tornarono
(tre o sette ufficiali, duecentonovanta
fra sottoufficiali e soldati) c'era lui pure.
Fu medaglia d'argento e croce di guerra
morto di cancro al polmone destro
tirò dritto fin dove l'elica
del motore incenerito taglia la notte.

I° voce femminile

In infelice stato di decomposizione
un cranio irripetibile sbuffava
contrariato alla luna: "Ti parlo
come la lama di fuoco che incendia
questo secolo ormai alla fine."



scena III





In realtà la testa del cavallo sacrificale è l'aurora,
l'occhio è il sole, il respiro è il vento, la bocca
spalancata è il fuoco universale, il corpo è l'anno.
Il dorso del cavallo sacrificale è il cielo, il ventre
è l'atmosfera, l'inguine è la terra, i fianchi sono
i punti cardinali, i lombi sono i punti intermedi,
le membra sono le stagioni, le articolazioni sono i
mesi e le quindicine, i medi sono i giorni e le notti,
le ossa sono le costellazioni, le carni sono le nubi.... (1)

Quando lo svegliato scese al fiume per rinfrescare il
viso, udì, ai margini della foresta, una tigre sospirare.
Allora il Maestro, colpito da grande amore per il triste
superbo felino, si avvicinò all'animale e gli chiese
da quale pensiero fosse generata tanta inquietudine.
La tigre, quasi singhiozzando, lamentò la sua disabitudine
al digiuno e contò i giorni da che non riusciva a raggiun-
gere un cerbiatto per cibarsene.
Il Buddah si offrì al felino malgrado anche lui praticasse
il digiuno. (2)

Tu ci hai nutrito di forte cibo per uomini e di vigorose
sentenze: non permettere che, come fine del pasto, i molli
spiriti femminei ci assalgano.
Resta con noi, Zarathustra, qui è molta nascosta miseria
che vuol parlare, molta sera, molta nube, molta aria inta-
fanita!
Così parlò il viandante ombra di Zarathustra, poi prese
l'arpa del vecchio mago e, con una specie di ruggito iniziò
a cantare.
Guai a colui che cela deserti dentro sè! Il deserto cresce. (3)

Giovane faraone

Incredulo sento l'ammasso dei secoli,
ho un mantello che mi copre dal freddo
della sera, rabbrividisco,
tutta l'amarezza della solitudine silenziosa
mi grava sul centro del cuore.
Resto appresso al melo,
fra i rami quasi spogli filtra la luce lunare.

Faraone morto

Figlio, figlio, in questa siepe
trattenuto dalle radici del melo,
m'interro. Un lombrico percorre
la mia gamba destra e s'immerge
nella cenere dei tempi.
Ricorda il latrato dei cani
tienili lontani dall'albero piantato.

Giovane faraone

Un teschio squassato, il filtro delle acque.
Nel seno profondo sono posate le tue azioni
Ciò da cui vengo, ciò che sono,
da cui la mia natura silvestre, il talamo,
il calamaio, e l'inchiostro sporco di sangue
e il quaderno a righe grandi, a rigoni,
per lo strizzacervelli
prima dello zompo dal quarto piano,
l'attimo fugace del non ricordo rimane
a esaltare il nulla che siamo.





scena IV


coro

Percorriamo ricordi, sfogliamo aghi di pino
(i fiori secchi rimangono attaccati alle dita)
mastichiamo gomma americana e facciamo la fila
al bagno del bar delle fiche arruffate.
Il fuoco convinto dell'arsura del legno corrotto,
impiegò secoli prima d'intromettersi
nell'ospizio di salme appesantite da cibo avariato.
La frase travolta dal sogno della luna
s'intrufola fra i peli delle ascelle,
e asperge il tuo profumo sulle mie natiche.
Imbevuto di te mi lascio andare
alla legge della ricreazione.
Sottoterra il tuo scheletro scritturato
per il film americano, sarà schiantato
in prima visione, chi gioirà
per la piramide distrutta,
ora che il labirinto è anoressico,
il toro lamenta scarsa attenzione
e tramite appelli televisivi
apre un conto postale per mucche pazze e orfane.


Faraone morto

Tu che porti le tue lacrime
alla mia tomba,
tu mi sei salutare
come il ritmo della pioggia
e il canto dei grilli
all'imbrunire.

Giovane faraone

Sotto questo sole cocente
sfoglio i petali del fiore
fino alla promessa d'amore.
La sabbia soffiata via
percorre
miglia e miglia di luce solare.



conclusione

Ho appoggiato il capo
sugli incubi andati,
col preservativo resta in mano
il segnale del tempo in forse.
Accarezzo il pube della creatura
che accompagna le mie indecisioni.
Fuori la tempesta sofferta come la parola
che dipinge il ritratto delle mani.
Con gesti delicati le dita
percorrono i tuoi fianchi
e si gettano nell'oasi dell'amore;
non mi resta altro:
il sapore della pelle
e delle tue effusioni,
il brivido delle tue labbra.
I tuoi lunghi capelli mi rigano il viso
accarezzano le guance e si perdono nei pensieri.
Guardando fuori dalla finestra in calore
l'ossessione del tutto.
Zero metafisico: somma esperienziale,
dal tu al me l'immagine si ribalta
Quanti frammenti del me
cita la tua immagine!
Rispecchio il colore dei tuoi occhi.
Zero metafisico, una parentesi
un preludio al nulla, tutto vomitato
di parole, ti incuto timore
vagando alla ricerca dell'orsa
mentre la foca monaca si masturba
pigiando la vagina
alle pareti della roccia rossa.
Nei tuoi occhi, incantato,
un coriandolo del carnevale trascorso,
tutto resta in questo mondo,
nulla viene lasciato al caso,
nemmeno il bacio che mi hai dato
vincendo lo sguardo dei passanti
e lo sputo dell'ultimo alcoolizzato
appena uscito dall'ombra.



epilogo


Rendo grazie alle forze celesti,
e a questa calda piana
che esalta i profumi della terra
quando il cielo la bagna.
Scendo come pioggia dorata
ad annusare i tuoi nascondigli
dove i vermi intossicati
rifugiano le loro lacrime.
Spegniti e lascia il fumo salire
come una preghiera dimenticata,
evanescente, persa nella profonda
vastità dello spazio.
Celate ai miei occhi, percepii
il profumo delle viole
e le tue mani rapirono i miei pensieri.
Struggenti note mi percuotono,
nell'immensità di questa stanza
perdo la cognizione del tempo.


Fine

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