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Borderline
prosa [ ]

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di [LucaCipolla ]

2013-05-16  |     | 



Vomitato da un letto di corsia su uno strame di canne,
la città grigia e suadente dalla schiena spezzata nella notte fumosa e vacua
ti vide fanciullo al riparo da significati e significanti
dentro un igloo di coperte,
quel mondo rifugio che di latte ti nutrì e vittima t'allevò.
Così la sorte prese forma come perla di conchiglia,
nel tuo nido crescevi senza inquietudini, recitando preghiere, giocando con pupazzi e macchinine, tirando la coda ai gatti.
Lo stagno assecondava la tua fantasia di navigare come Sinbad
e quella fata muta oltre il recinto di capre una mattina di maggio.
Già anonima presenza fra chi intorno condivideva i tuoi giorni
presagivi l'esclusione,
lo sguardo perso dai vetri d'un'aula sospirando casa e gli steli d'erba
d'un soffice giardino fragrante di camomilla.
Fu allora che Pandora aprì il vaso e bersagliarono lo sfigato, il cesso, spalla ideale d'ogni umorista, tu in mezzo agli altri nemico e differente, sommesso e diffidente,
i tratti sgraziati della prima trasformazione adolescenziale,
simulavi tagli alle vene e i primi lutti ti segnavano nel profondo.
Su un muro “Blocco Studentesco” ed il profilo di Mercury, l'ombra degli spinosi rami di biancospino..
L'amore platonico, giusto compenso da dismorfofobica visione, ti regalò un Getsemani
immaginario laddove un orto raccoglieva le tue lacrime sole nelle tenebre
d'un'estate non ancora matura.
A quale entità imputavi l'utopia d'una trascendente perfezione che ti separava da ogni realtà?
Vivevi nascosto,
tu che cercavi riscatto da un microfono inventato dinanzi a folla astratta,
immateriale come la tua seconda voce, identità dissociata, ma l'unica che percepiva
la tua usura interiore, quel subdolo male e sofferenza che portava sinanche le tue mani
ad esserti nemiche, quasi non fossero le tue.
Sepolto vivo, a pregare un egumeno con tratti d'angelo che suoni la carica a colpi di toacă,
ora - il mondo fuori
- condannato a terrena solitudine, nella riserva da te costruita come difesa dall'umiliazione,
autocondannato all'esilio, ma in quale terra, hai infine deciso?
Quella del primo bacio o della prima volta?
C'è chi t'osserva con aria da studio o forse di perplessità, compassione..
ti può aiutare questo?
Non importa gli occhi da lepre intimorita, intrisi di sangue, pesti
per il troppo rimuginio, le pupille dilatate dai fumi della promazina, la testa una mina pronta a esplodere,
nei dintorni c'è sempre un solitario, uomo di strada o donna dai facili costumi
pronti ad ascoltarti perché sulla linea di confine non trovi parenti o amici,
in preda al terrore solo sfiorato di chi osserva la pretesa d'un sorriso, quello che tu,
non potendo, non sai dare.
Occhi di camaleonte, volto asessuato, che suggi l'ossigeno d'un logoro teppista immemore su un ramo sferzato dall'umore scostante e incostante,
il tuo cuore, la mente, per quanto contaminati,
non son mutati nel limbo d'un Bărăgan-Rjazan' ove Nebunis ti punta alla gola un khanjar.
Fasci d'energia non distinta, lividi torrenti, nebulosa d'eventi, rotte
soffocate dall'oidio, redshift e stelle nane, blazar e pulsar,
questa la frontiera fra Yin e Yang?
Non v'è logica in te, non esiste filo conduttore, sei la vertigine messa al bando
e ti guardi alle spalle mentre cammini ché sei lo strano, il negativo,
potenziale serial killer agli occhi di alcuni, per te di molti normali
con problemi e comprovati mali, ma non come il tuo,
il tuo non è riconosciuto, si può dire infondato,
pare sia tu la causa del tuo male,
indice di fragilità e inadeguatezza, bimbo che se la prende per nulla,
non saluta e poi chiede scusa, piange e tenta di rimediare.
E nutrivi un culto per lei, invocavi il suo ascolto per dismetter quei panni che non amavi,
quell'abito cangiante e multiforme,
tessuto grezzo, di stracci, che evoca un disagio fuori moda
ma un istrione ha un solo costume di scena e dà fondo alla bottiglia,
non si guarda oltre quel vestito, da evitare quasi fosse infetto
e tu così pure eviti.
Non si prescinde dalla maschera; condannato all'eresia, umile straniero,
alieno alla massa che ti circonda,
il tuo sguardo spaventa e l'afasia ti rende muto, incapace d'esprimere ogni pensiero, idea, di sentire,
comunicare,
così oggetto di scherno sei cera che fuoco non modella, pozzo che acqua non colma.
Una mano ti blandisce e nel deliquio l'intreccio di due corpi come tralci d'edera,
i suoi freschi, fragranti capelli di tussah, come meritarli?
In bilico su un piatto della bilancia unirti ad altra anima e non ferirla?..
Il cuore tuo è coda di scorpione, visione irrelata, inedita cornice al contesto,
una terra di mezzo plasmata da pudico virgulto, sole nell'ombra della sua linfa vitale..
L'ambivalenza non ti concede di chiarire, cambiare
né ti consente di spezzare la catena, raccoglier le reti,
lontane le sere d'inverno infantili a lume di candela..
Lungo il viale dei gelsi l'orologio, schermo rotto, fissa le 16.15 e un bimbo fiero salta una pozzanghera;
la teenager, trucco nero deciso confessa all'amica di volersi rifare,
ha ecceduto col mascara,
il fratello dell'altra ha ventott'anni, ma a suo dire ne dimostra proprio meno;
la metro fila, rettile di galleria,
una fermata, l'universitaria sale e sorride con tenerezza
alle due confidenti,
forse memore d'una fase già conclusa della sua giovinezza.
La luna si spezza e del mattino scioglie l'ultima brezza;
Conciliazione, volontari della Croce Rossa, minio, no, sangue, materia cerebrale,
il fanciullo chiede alla madre cos'è, un avambraccio maciullato strappato dalla spalla,
brandelli di vita, l'anziana sta male, sirene, altoparlanti, l'impiegato bestemmia,
farà tardi in ufficio
e mentre il prete recita solenne le litanie dei santi,
furtivo tra le malcelate spoglie dell'incenso,
tu ci saluti, senza rancore.

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