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La casa abitata
prosa [ ]

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di [sidonya ]

2008-09-18  |     | 



La casa abitata



Sta mattina, guardando il gran pentolino rosso, che avevo messo sull’occhio del gas, ho provato a ricordarmi il giorno quando era iniziato tutto. Sarà stato notte? Non lo so più, deve essere tutto successo poco a poco, goccia per goccia, finche ne ho avuto abbastanza e ho versato fuori, come l’acqua che bolle fortemente, non essendo abbastanza il contenitore che una volta era pieno solo metà.
Il pentolino iniziò a trepidare sulla macchina da cucinare, gridando fortemente che è pronto a ricevere la profumata polvere di café che avevo preparato per quella mattina.
Che importanza ha se è stato notte o giorno? L’unica cosa certa è che è successo. Da un veicolo di carne ed ossa, che non sapeva della sua propria esistenza passeggera su questa terra, mi sono trasformata in una caldaia piena di sbattimento, di domande ardenti, bollendo sul fuoco sempre più forte. Una mano invisibile aggiungeva ogni tanto carboni, quando gli sembrava che il fuoco perdeva intensità, una mano crudele a cui non importava che non ero fatta da una composizione infinita, immortale e che ad un certo punto avrei potuto svanire, lasciando dietro di me la caldaia vuota, bollente, pronta a crepare.
Speravo, perché non ammetterlo, speravo ciò. Di sparire un giorno, speravo come l’animale appena ammazzato, dal collo di cui esce ancora il sangue caldo, mostrando che non è ancora morto, che capisce ancora ciò che gli sta succedendo, con il desiderio disperato che il suo tormento prenda fine, senza nessun interesse di ciò che andranno a fare dopo con il suo cadavere senza respiro. Cosa contava?
Però la speranza non è altro che una bestia sempre affamata, che niente al mondo può nutrire, specialmente quando è più vorace, cosi che ciò che speri è d’abitudine una cosa impossibile da ottenere. Sopratutto quando speri con disperazione.
Cosi che non sono sparita.
Una volta mi ero chiesta cosa ero veramente: la caldaia o la materia che ne bolle dentro? Sentivo che ambedue mi appartenevano, o meglio dire io appartenevo a loro, però non riuscivo a rendermi conto esattamente quale di queste due cose sarebbero indispensabili per la mia esistenza.
Non sono riuscita a trovare una risposta, però sono arrivata ad un’altra conclusione: la caldaia doveva esistere, altrimenti mi sarei dispersa. La materia che si trova dentro sarebbe bruciata direttamente sul fuoco, ciò che presumo sarebbe stato molto più spiacevole. Allora forse il fuoco si sarebbe spento, forse ... C’è ancora un’altra possibilità che la materia sia stata infiammabile, cosi non potevo correre nessun rischio. Meglio lasciavo tutto come era.
Più tardi ho capito che tutte le cose hanno il loro significato. Sia la caldaia che la materia dentro erano predestinati a bollire. Questo era la loro ragione.
Come dicevo, non so se era notte o giorno quando il mio corpo ha iniziato ad essere abitato.
Credo che avevo aperto un cancello, o una porta, e guardando per intravedere ciò potrebbe esserci oltre, mi sono scordata di chiuderla dietro di me. La ho lasciata appena aperta.
Quando sono ritornata a casa, dentro mi stava aspettando qualcuno.
Il primo è stato Onem. Era uno spirito abbastanza pacifico. Stava in un angolo del mio essere senza disturbare per niente. I suoi bisogni non erano grandi. Mi ha insegnato a giocare con le sfumature. Colori di tutti i tipi m’inondavano gli occhi e la mente, e io dovevo metterli sulla carta, o su qualsiasi cosa che mi capitava.
I colori sembravano di avere un’esistenza loro, speciale, perché non mi chiedevano mai se avevo un’opinione o se avevo qualche sensazione legata alla loro esistenza. Io non dovevo fare altro che tirarli fuori dalle bottigliette, combinarli e darli vita, trasformandoli in una materia reale.
Onem mi svegliava qualche volta durante la notte, lasciandomi nella mente un ricordo ambiguo di un sogno che dovevo materializzare nel giorno seguente. Un cavallo, un fiore, cose varie il cui significato non capivo.
Un giorno ho disegnato un castello. Mio padre stava cercando tra delle carte vecchie, quando lo ha trovato.
Ha guardato il disegno per un tempo, sia da una parte che dall’altra del foglio, poi mi guardò fisso. Fisso. Senza dire niente. Anch’io al mio turno lo ho guardato senza battere ciglia.
Mio fratello giocava sul tappeto con dei cubi di cartone che metteva uno sopra l’altro per poi buttarli giù da un solo movimento, come se quello fosse stato il momento dove voleva arrivare, il momento che gli dava una soddisfazione speciale. Rideva e radunava di nuovo i cubi di cartone, non vedendo l’ora di buttarli giù di nuovo.
Papa entrò nuovamente nella cucina del nostro piccolo appartamento, porgendo il disegno alla mamma. Non so se si sono detti qualcosa, però tutte due sono venuti nella stanza dove stavo seduta sulla sedia felpata, guadandomi con occhi di estranei. Oppure forse gli occhi non erano estranei. Allora mi guardavano come una persona che non avevano mai visto in vita loro ...
Ho trasalito. Onem era andato via. Non avrei avuto l’opportunità di vederlo che molto più avanti nella mia vita.
Dopo la visita di Onem, gli ospiti sono stati innumerevoli.
Ognuno mi stuzzicava la voglia e l’interesse per qualcosa, poi se ne andava, lasciando dietro di se solo il desiderio. Il desiderio di compiere un sogno, il loro sogno che era diventato mio.
Tutte le volte che un sogno - uno scopo - non si realizzava per via della mia impotenza, mi dicevo che non volevo più ricevere nessuno, che avrei chiuso le porte del mio essere perché mai e poi mai i visitatori si presentino.
Però ecco che mi scappava qualche uno dentro, e portava sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di sconosciuto fino allora, che mi trasformava in un’altra persona completamente diversa.
Ad un certo punto succedeva che certi conoscenti avevano incominciato a parlare di me. Se la sera prima avevo affermato che odiavo le cifre e che non le capivo, eccomi che la mattina seguente le mettevo sulla carta con amore, come delle poesie capite solo nella mia mente.
In generale gli ospiti abitavano dentro di me senza lasciarne tracce. Dico in generale, perché non ho ancora parlato dei loro capricci.
Il loro gran capriccio era l’amore.
Tutto andava bene finche non incontravano qualcuno, vedevano un paio di occhi, una mano con le ditta lunghe, sensitive, o qualche voce piena di poesia e di promessa e s’innamoravano.
Giravo pazzamente per le strade, io, la casa abitata, sbattendomi in un’infelicità senza limiti, per causa loro. I visitatori volevano al loro turno di essere amati, e per ciò io dovevo lottare finche riuscivo ad avere un cuore, sapendo da prima che una volta raccolto, come un fiore da giardino, quel fiore finirà essere messo con fasto in un vaso di cristallo per un tempo molto breve, dopo di che il fiore, il cuore, troverà la sua morte.
Loro mi spiegavano qualche volta, che non il compimento dell’amore era importante, ma la sua nascita.
La nascita dell’amore sarebbe quel secondo in cui una storia intera si consuma. L’attimo in cui un immenso calore t’inonda, desiderando con disperazione di toccare la persona amata, di assicurarti che è reale, di ringraziarla che esiste, poi di volerla solo per te, di possederla pure, di chiuderla in una cassa scura da cui solo tu la puoi tirare fuori alla luce come un’icona, di immergerti interamente nel suo corpo e spirito, identificandoti alla perfezione con lei, di sposarla, di fare figli e di invecchiare insieme a lei, e allora, il primo attimo quando senti tutto ciò è anche l’unico attimo in cui esisti veramente.
Tutto ciò che succede dopo quest’attimo è inutile. Oppure solo un tormento. Una riproduzione messa in caricatura.
Il grande attimo è un episodio che loro mi hanno aiutato a conoscere, che mi ha arricchito in bene o in male, ancora non lo so, che ho vissuto tante volte con il pensiero che sta volta riuscirò un esperimento saputo solo da me, la dilatazione dell’attimo in un’eternità.
Eccomi guardando un paio di occhi – questa volta un colore incerto, grandi, cosi profondi, eccomi desiderando di poter baciare, di poter amare ... Allora mi rendevo conto che il grande attimo era iniziato e facevo del mio meglio con tutte le forze di fermarmi, di non desiderare di andare oltre, di non pensare a niente, di non desiderare niente, neanche d’esistere, però era più forte di me.
Un solo momento di debolezza è bastato. Il grande attimo è stato consumato, e io lo ho perso.
Certamente, li conservo sempre su una delle pareti della mia casa, in un posto luminoso, pieno di colore. Lì c’è tutto, niente si spegne, non si perde, non si consuma, però qual è il senso?
Cosa fare nei momenti quando non vivevo dentro la casa, ma al di fuori? Questi momenti erano tanti ...
Troppi ed assolutamente necessari. Senza la vita esterna, la mia esistenza sarebbe impossibile.
La caldaia si sarebbe rotta, la materia sarebbe caduta sul fuoco, e io probabilmente sarei svanita nell’universo, o mi sarei trasformata in una cosa completamente diversa.
Un bel giorno mi sono ritrovata con qualcuno alla porta.
Mi chiamo Amr.
Lo ho guardato con disinteresse.
Qualsiasi cosa che io volessi, tu entrerai comunque, non è vero?
Mi sono spostata in un lato perché possa entrare dentro casa, però lui è rimasto immobile.
Non. Non è cosi. E lo sai molto bene. La scelta di dire di no c’è la hanno persino gli animali, persino le piante. Tu la hai sempre avuta però non la hai mai usata.
Allora la mia risposta è di no, ho detto, senza levare lo sguardo dal basso.
Amr era sparito. Mi sono tormentata un giorno intero chiedendomi perché volevo che ritornasse. Lo ho chiamato senza tregua, per una settimana, però senza nessun risultato. Alla fine è venuto. La porta era aperta e lui è entrato maestosamente, portando con se un venticello di primavera e tanta luce.
Ti ringrazio che mi hai fatto entrare. Ho tanto bisogno di te quanto tu hai di me. Ambedue dobbiamo crescere, però nessuno di noi lo può fare da solo. La crescita è una tappa in cui hai bisogno di simbiosi.
Amr si è istallato da solo nel più bello, più luminoso e più sicuro posto della casa, li dove mi ritiravo d’abitudine per riposare o per pregare.
Sono stata molto contenta che Amr non era capriccioso. Tutto ciò che desiderava era d’insegnarmi. Lo faceva con affetto, con il sorriso sulle labbra e la luce intorno a se stesso.
È stato il periodo più felice della mia vita.
Tutti i giorni scoprivo qualcos’altro, e il mio coraggio aumentava. La paura in tutte le sue forme era sparita dalla mia mente, e le mie forze crescevano sempre di più.
Noi due, in un’armonia mai vista, rendevamo più sempre bella la casa in cui vivevamo, cosi che ad un certo punto sembrava d’essere una casa abbastanza alta da poter vedere dal suo tetto il mondo.
Solo che guardando il mondo, quell’incommensurabile moltitudini di visi e pensieri tutti messi assieme, Amr ha visto un giorno qualcosa, un’ombra, un sorriso, un raggio, e l’attimo di cui avevo più paura era arrivato.
Ho guardato nella direzione in cui si era focalizzata l’attenzione, ignorandomi completamente.
Tutt’ad un tratto mi sono trovata ad un tavolo, in una stanza con pareti vuote. Davanti a me, stava un essere con occhi molto aperti, portando la sua anima nelle braccia, offrendolo con il sorriso sulla bocca, come il bambino che va verso la morte, sicuro che, tenendo la mano della madre non gli potrebbe succedere niente di male, niente lo potrebbe uccidere, o fargli del male.
Ho chiuso gli occhi per il terrore. Ho fatto il gesto di ritornare dal cammino, di cercare una scappatoia, una porta piccola, una fessura nella carcassa d’acciaio del tempo e dell’amore tramite cui infialarmi e scappare via, però era impossibile. La voragine era iniziata, era vicino a me, m’aveva preso nelle sue artiglia, mi ero contorta, sono diventata subito come una gomma che s’estende e si stringe in un batter di ciglia sotto le mani del modellatore, ho pianto, ho urlato, poi tutto è finito. Il grande attimo è passato.
Intorno a me era buio. Amr mi aveva lasciato da sola con me stessa, senza casa, senza un posto che sia mio, senza le pareti su cui tenevo le cose care a me, occhi, pensieri, sentimenti, da sola nel buio materiale.
Sentii i battiti del mio cuore, significava che ero viva. Da qualche parte, in un angolo del mondo continuo ancora la mia esistenza.
Ho aperto gli occhi.
Ho visto le mie mani dentro un altro paio di mani, le stesse, le mani dell’essere che avevo amato insieme ad Amr.
E allora un nuovo attimo iniziò. Mi ha preso alla sprovvista.
Non una, ma migliaia. Migliaia di attimi passavano senza fermarsi, incatenandosi come delle costellazioni, portandomi come un bambino in una giostra piena di musica e di luci.
Gli attimi, i grandi attimi mi passavano davanti all’infinito. Iniziavano, scorrevano, finivano, in una catena infinita.
Era impossibile, mi dicevo, stringendo quelle mani dentro le mie, volendo di convincermi che non sto sognando, che non è un parere o una bugia senz’anima, di convincermi che l’essere che mi aveva rubato il cuore era lo stesso, che non era morto, che non si era trasformato.
Come dicevo, gli anni sono passati.
Anni in cui ho vissuto innumerevoli attimi d’amore.
Ho costruito un’altra casa, però è rimasta inabitata per un tempo.
Poi, ho ricevuto visite. Conoscenti cari del passato. Venivano, se ne andavano, non cambiava niente.
Pensavo persino che non avevo bisogno di nessuna casa, una volta che l’essere amato m’aveva offerto la sua.
Però nel momento in cui ho deciso di trasferirmi per sempre, un’ombra tagliò la mia strada.
Stavano uno davanti all’altro. Era Amr.
Uguale.
Sei invecchiata, mi disse, però non sei più cresciuta per niente.
Si.
E allora?
Non voglio crescere, dissi subito. Non voglio più crescere, voglio rimanere cosi come sono. Voglio morire cosi.
Negli occhi di Amr si leggeva la tristezza, una tristezza profonda, profonda, quasi come una delusione.
Nei miei si leggeva la paura, la disperazione, la preghiera.
Amr non diceva niente. Mi guardava solo, senza comunicarmi i suoi pensieri, come lo faceva una volta. Mi guardava come un oggetto decorativo.
Non posso farti questo, disse. Non a te. Ti amo, Matre.

Amr ha deciso di portarmi con lui, cosi che ho fatto come lui.
Non ho più avuto una casa mia.
Adesso vado con Amr in cerca di case che non sono abitate. Ci sono centinaia, migliaia, persino decine di migliaia di case che non sono abitate sulla terra.
Amr mi ha fatto vedere tutto, anche aldilà dei limiti.
Mi ha detto di non essere triste e di non avere paura, perché l’amore non è solo il grande Attimo, ma molto di più di ciò, è conoscenza.
Crescerai vicino a me, Martre, mi ha detto, crescerai in un bel modo, con un arcobaleno circondato da stelle. Abiteremmo insieme molte case e passeremmo migliaia di orizzonti.
Ogni tanto scendo tramite una caverna scavata nella roccia del tempo, quando la luce brilla interamente a mezzanotte, per spendere qualche momento in una casa vecchia, vuota, in cui ho abitato una volta.
Metto il pentolino del café sul gas ed aspetto che l’acqua bolla, ascoltando l’abbaiato di qualche cane randagio in una città fantasma, in cui migliaia di persone continuano la loro esistenza efemere ed immaginata, senza sapere, indifferenti e ciechi cosi come io stessa ero al mio turno una volta ....

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